L’arte del tradurre

Beginning of Written Language

Tradurre, è un’arte o una scienza?

Per chi è convinto del secondo caso, in italiano è ormai in uso il termine, che io trovo orribile, di “traduttologia”, esso stesso traduzione del francese “traductologie”. Meglio, molto meglio, se è questo il modo in cui la si intende,  “teoria della traduzione”, che si apre a campi molto più vasti del freddo traduttologia, che tanto mi suona come tuttologia e che relega in una sorta di obitorio livido le competenze e le qualità letterarie che un traduttore deve avere.
Siamo sommersi da studi, saggi, convegni sulla traduzione, ci sono dipartimenti universitari ad essa dedicati eppure, e so di suonare blasfema, di essere una voce fuori dal coro, di scandalizzare gli “esperti” arroccati nella loro accademia, sono convinta che tutto questo a poco serva.
Come a nulla servono le Scuole e i Corsi di scrittura, a parte insegnare delle tecniche. Che però non sono sufficienti per produrre degli scrittori o dei poeti. Di sicuro potranno migliorare lo stile, grammatica e sintassi, la capacità di costruire una frase o un periodo. Di far comprendere meglio a questi allievi profumatamente paganti l’opera di scrittori e poeti (che è quanto fa un buon corso di letteratura, per inciso). Ma non produrranno alcuno scrittore o alcun poeta. A meno che tra di loro non ce ne sia già uno, che comunque, per essere tale, dovrà, come è sempre accaduto, dimenticare TUTTO quello che gli hanno insegnato e scoprire da sé la sua lingua e il suo stile.
Milioni di opere letterarie nei secoli sono nate senza scuole di scrittura. Opere assai migliori di quelle che oggi si producono, a dispetto dei tanti che insegnano e imparano a scrivere.

L’arte non è una catena di montaggio. Non è un prodotto che si confeziona in fabbriche di scrittori. Come ci hanno insegnato gli americani e come abbiamo imparato a scimmiottare noi.  Se i loro “prodotti” ben confezionati vendono come hamburger, perché non adottare le loro formulette? Certo, qui si parla di quei fabbricanti di best sellers  a cui tanti autori de noantri guardano con invidia e soffocato rancore e non di gente come Foster Wallace, Franzen, Palahinuk, ma anche il tanto bistrattato (dai critici) e adorato da milioni di lettori adoranti, ora riconosciuto come un o dei maggiori e più originali scrittori americani, che è Stephen King. Questa recentissima consacrazione infatti è stata immediatamente registrata anche da noi, affidando la traduzione dell’ultimo suo geniale romanzo, 22/11/63, a Wu Ming1.

Uno scrittore però  si forma, con immensa fatica, a parte rarissime e felici eccezioni, su Maestri, che sono gli altri scrittori. E sulla propria capacità di vivere la vita in ogni istante e senza risparmio.
Ma scrittori si nasce (e poi si diventa), così come artisti si nasce (e poi si diventa).

Preciso meglio: una scuola di traduzione forse serve moltissimo a chi affronta un testo scientifico, tecnico, ma non certo a chi affronti un testo letterario.
Ho osato dire una volta, ad un Convegno di traduttori (italiano) che per tradurre letteratura si dev’essere uno scrittore e per tradurre poesia un poeta… apriti cielo! Tutti i traduttori e le traduttrici presenti (tutti noti) mi si sono scagliati contro scandalizzati. Ma come!? Per tradurre un testo letterario è necessario conoscere la teoria della traduzione, seguire corsi (per inciso, al convegno erano presenti molti giovani allievi dei corsi tenuti da questi noti traduttori) fare pratica presso case editrici ecc. ecc. e basta fare esperienza. Ma quale scrittore, ma quale poeta! …Già, altrimenti la quasi totalità dei presenti sarebbe risultata obsoleta. Si sono sentiti minacciati. Bisognava zittirmi.

Ebbene, nella mia esperienza ormai quasi trentennale (ho iniziato nel 1981) di traduttrice di svariate decine di testi letterari e di saggistica, ho sperimentato che un buon traduttore letterario tanto giovane non può essere, perché la capacità di tradurre un testo simile è l’insieme di doti letterarie (o poetiche), che sono innate ma vanno incessantemente affinate, pratica e pratica e pratica e ancora pratica, vasta cultura generale, profonda conoscenza di campi specifici (che sono quelli in cui sarebbe consigliabile muoversi nel tradurre) conoscenza APPROFONDITA dell’epoca, del mondo, della cultura e dell’autore dell’opera. E infine, ancora pratica. Esattamente le qualità che servono a uno scrittore.
Questo è il bagaglio scientifico necessario a un buon traduttore letterario.
Tradurre è innanzitutto conoscenza.
E non la si accumula se non in anni di studio e di pratica. Questo è il motivo per cui un esperto traduttore letterario, che spesso tra l’altro, ha anche il naso più degli editori stessi, per autori interessanti da proporre, va pagato e va pagato bene. Perché la competenza si paga.

Moltissime case editrici si avvalgono di giovani traduttori con poca conoscenza e poca esperienza, perché li sottopagano e poi si trovano traduzioni pietose, irte di errori e prive di qualunque valore letterario.
Io stessa mi sono trovata due volte e solo per particolarissime circostanze (ma mai più) a dover rifare daccapo delle simili traduzioni e mi sono chiesta con che coraggio questi signori avevano consegnato all’editore degli obbrobri simili, dato che non conoscevano nemmeno la materia che stavano traducendo, per non parlare della lingua originale, con gli svarioni di interpretazione immaginabili. Ma ci sono editori che preferiscono pagare poco piuttosto che pubblicare opere dignitose.

Non parliamo poi di certi dilettanti che accettano di essere sottopagati o addirittura non pagati, pur di vedere il proprio nome all’interno di un libro. Questa gente contribuisce a svilire la professionalità dei traduttori letterari. Perché, ormai è assodato, ben pochi sono gli editori che prestano attenzione al valore letterario di una traduzione.
Dunque, un buon traduttore letterario deve avere delle competenze vastissime, a volte persino maggiori dell’autore, (mi è capitato di dover correggere macroscopici errori di un autore, ovviamente vivente, di tipo storico e informativo, dunque di fare anche un lavoro di editing e parlo di un testo già pubblicato in lingua originale, che di conseguenza nelle edizioni successive è stato modificato in tal senso) e non può limitarsi a esercitare le sue capacità esclusivamente come traduttore, ma deve anche essere autore. Solo così infatti, si rende conto di cosa significhi costruire un testo letterario e dunque comprendere le difficoltà e le sottigliezze tecniche che richiede la struttura, l’architettura, di un’opera letteraria. Solo così può proporre un testo che sia letteratura anche nella propria lingua e non una semplice traduzione meccanica. Che comunque, in questo senso, non sarebbe una traduzione.

E’ cosa simpatica tenere seminari sulla tecnica della traduzione (ne ho fatti anche io, ma a mio modo), laboratori di traduzione, incontri sulla traduzione dei proverbi e sui modi di dire, convegni sulla filosofia e sulle tecniche e sulle teorie della traduzione e via dicendo. Ma tutto questo, i discorsi astratti, non servono poi quando ti trovi da solo col tuo autore e devi dargli una voce nella tua lingua.

Anzi, proprio coloro che più si danno da fare in questo senso sono poi i traduttori più mediocri.
Perché è questo che fa un traduttore letterario: dà una voce all’autore.
Il traduttore letterario è come un attore, come l’interprete di un testo musicale. La naturalezza è ciò che chiediamo a un attore, no? Un attore se vero e tale è, non deve “recitare”. Ma deve recitare facendoti dimenticare che sta recitando.
E tradurre un testo letterario significa far sì che non ci si possa render conto che di una traduzione si tratta.
Chi ti può insegnare a riprodurre un’atmosfera, uno stile, una sonorità? Ma del resto, mediocri traduttori vanno bene per mediocri opere di narrativa.
In Italia si traduce tutto e molto di questo è mediocre. E allora, non importa se anche il traduttore non svetta. Anche questa è una forma di armonia.
Se poi l’autore è morto e non può aiutarti a risolvere i dubbi sul senso o la sfumatura che può avere una frase o una parola, se non può difendersi dai tuoi errori di interpretazione, allora ti può venire in aiuto solo la tua conoscenza, a volte devi fare un lavoro filologico, ti viene in aiuto l’intuizione, ti viene in aiuto la voce dell’autore come ha parlato nel resto delle sue opere che tu non stai traducendo, ma che devi conoscere.
A quel punto non ci sarà “traduttologia” che tenga. Ci sei tu e c’è l’autore e c’è questo dialogo intimo e profondo che ci lega. Devi lasciare che ti parli. Devi ascoltare quella lingua che non è fatta di parole in nessuna lingua. Solo così puoi filtrarla nella tua.
Ed è per questo che uno dei punti essenziali del tradurre letteratura è il massimo rispetto per il testo.
Non lo puoi “riscrivere”. Non puoi mettere ai personaggi di Shakesperare le divise naziste… certo, lo si fa, ma…. grazie a dio ci sono autori che sopportano qualunque obbrobrio, anche se ne escono acciaccati e pieni di lividi.

Molto s’è detto anche sul fatto che le traduzioni invecchiano.
Io dico di no. Una bella traduzione non invecchia affatto. Come non invecchia la lingua di un grande scrittore, non invecchia affatto la lingua di un grande traduttore. Se poi parliamo di una traduzione così così….beh, certo, quella invecchia, perché non era letteratura nemmeno all’inizio.
La traduzione che Foscolo ha fatto del “Viaggio sentimentale” di Sterne, non è invecchiata, ma è limpida e smaltata come allora.
Un traduttore deve “sentire” lo stile del suo autore e cercare di ricrearlo nella sua traduzione.
Dunque deve sapere cos’è lo stile, cos’è la forma letteraria. Come traduci letteratura altrimenti? La puoi solo appiattire e falsare.
Non è poi il caso di dire che si debba conoscere a perfezione sia la lingua (e la cultura) d’origine che la propria. Altrimenti si finisce per produrre delle frittatone illeggibili come quella traduzione, zeppa d’errori e pesantissima, in cui la lingua meravigliosa e aerea di Kerouac è morta e sepolta, perché la tanto osannata Pivano era in realtà una mediocrissima traduttrice, cattiva conoscitrice dell’italiano letterario, che ha castigato tanti capolavori. Cosa che  tutti da sempre sapevano e si dicevano sottovoce ma, per il solito ossequio italiano ai poteri acquisiti,  non osavano (e ancora poco osano)  dire.

E tradurre poesia?
Questo, in una prossima nota.

(C) 2012 Francesca Diano RIPRODUZIONE RISERVATA


4 commenti (+aggiungi il tuo?)

  1. divadellecurve
    Gen 15, 2012 @ 11:48:19

    concordo pienamente… purtroppo in italia il talento serve a poco, figuriamoci la conoscenza…

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  2. Francesca
    Gen 15, 2012 @ 11:49:32

    già, figuriamoci… è un vero tabù

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  3. paulpoet
    Gen 15, 2012 @ 13:11:22

    Voce fuori dal coro, scandalizzare “gli esperti”, per tradurre poesia bisogna essere poeti (la reazione dei non poeti era scontata!), pratica e ancora pratica, conoscenza, discorsi astratti, traduttore come interprete di un testo musicale, massimo rispetto per il testo, intuizione, conoscenza perfetta della lingua… Ma Francesca “mi hai letto nel pensiero!” E’ ciò che sostengo e che ho scritto anch’io, prima ancora di leggere il tuo articolo (“affinità elettive”?).

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  4. Francesca Diano
    Feb 26, 2012 @ 00:30:05

    Link al mio post pubblicato su MOLTINPOESIA con questo articolo e i numerosissimi interessanti commenti

    http://moltinpoesia.blogspot.com/2012/02/critica-traduzioni-che-punto-siamo-oggi.html#comment-form

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