Il seggio vacante, J.K.Rowling. Recensione di Francesca Diano

Sono tra quelli che hanno acquistato Casual Vacancy, tradotto in Italiano con Il seggio vacante sperando che la Rowling avesse finalmente iniziato a scrivere qualcosa di letterario, come lei aveva annunciato,  dato che, orrore orrore, ho trovato le storie di Harry Potter mortalmente noiose per gli adulti e in fondo non di molto più originali rispetto  alla grandissima tradizione britannica di narrativa per ragazzi. O meglio, trovavo che il linguaggio e lo stile della sua saga fossero in realtà troppo difficili e arzigogolati per il pubblico cui era rivolta, ma noiosi e ripetitivi per un pubblico di età diversa. Al di là dell’isteria collettiva che s’era creata. Ho letto Harry Potter e la pietra filosofale, o almeno ho tentato di leggerlo, ma non sono riuscita ad andare oltre  l’ottantesima pagina e con fatica. L’argomento e l’idea sono in realtà più che affascinanti, ma, come per le opere di Tolkien, l’artificiosità, il senso di mancanza di “naturalezza” di quelle che mi sono parse solo operazioni letterarie, (non troppo letterarie nel caso di Harry Potter) mi hanno bloccata. Capisco tuttavia il fascino che il magico possa avere sui ragazzi, dato che la nostra società li ha privati del sogno e del mistero. Sono elementi fondamentali per crescere in modo equilibrato, per sviluppare l’immaginazione, che nella vita è uno dei nostri punti di forza. Eppure, qualcosa mi è sempre suonato falso in Harry Potter. E ho trovato fastidioso il business planetario di cui è stato oggetto. Non tanto i romanzi in sé, quanto  tutto il baraccone di annessi e connessi che gli è stato creato intorno, ben lontano dalle ingenuità dell’adolescenza e dalla saggezza di cui il suo percorso di crescita dovrebbe farsi portatore.
Ma, per tornare a questa ultima fatica della Rowling, date le sue grandi dichiarazioni sul fatto di voler finalmente scrivere un “vero” romanzo (perché, gli altri chi li ha scritti?) mi sono detta: forse stavolta ce la fa. Di sicuro l’immaginazione non le manca e l’idea di scovare il Male in una piccola comunità dall’apparenza idilliaca, anche se non certo nuova, mi era piaciuta moltissimo.

Il romanzo si apre con la morte improvvisa di Barry Fairbrother, colui  che, appunto, lascia un posto vacante nel Consiglio della linda cittadina di Pagford. Il che è un interessante punto di partenza. Ora ci si aspetterebbe che i veleni sepolti sotto le facciate tranquille delle casette linde e pinte emergessero in un crescendo distruttivo. E invece… inizia una ridda di personaggi di cui non si riesce a tenere e mente il nome, tanti sono, ciascuno con le sue piccole miserie umane, ma nulla che non si possa trovare nei nostri vicini o conoscenti. Il ritmo è lentissimo,  noioso, prevedibili le azioni, stereotipati, piatti i personaggi,  le dinamiche poco convincenti e lo stile non si discosta affatto da quello degli innumeri Harry Potter.

Dato il tema, ci sarebbe voluta una capacità di vedere il Male, quello vero,  sotto l’apparenza idilliaca, capacità che Agatha Christie,  ad esempio,  ha assai di più della Rowling. Ed è tutto dire.

C’è però un personaggio, quello di Krystal, che è più riuscito degli altri. E’ una sorta di Harry Potter femminile ma al negativo. Un personaggio che paga per tutti e la cui fine – non del tutto plausibile però, va detto – in effetti dà un senso più pregnante alla storia. In qualche modo Krystal e la sua fine sono legate a Fairbrother. Credo che l’aspetto più interessante del romanzo sia proprio la tesi per cui la fragilità della giovinezza e della purezza possano essere schiacciate dal marcio e dalla perfidia di una comunità incapace di vedere oltre i propri egoismi. Ma questo assunto di fondo non è sufficiente a fare di questa una grande opera letteraria. Il tema è robusto, ma non sostenuto da una altrettanto robusta struttura. Il tutto è troppo diluito e dispersivo.

Tuttavia mi ha colpito il giudizio di un lettore che l’ha letto in inglese. Il fatto è che sarebbe il caso di capire quanto la traduzione possa aver avuto un qualche effetto negativo su  uno stile che magari nell’originale è presente in modo più incisivo.  Ho solo qualche esempio confrontando dei brevi testi lasciati in inglese nella traduzione italiana e con traduzione in nota.

You had my heart/ and we’ll never be worlds apart/ maybe in magazines/ but you’ll still be my star – tradotto: “Il mio cuore ti appartiene e staremo sempre insieme, forse sulle riviste, ma sarai sempre la mia star.”  Se vogliamo essere precisi sarebbe “Hai avuto il mio cuore e non saremo mai distanti (o nulla ci separerà)” ecc.

Il secondo è

Now that it’s raining more than ever/Know that we stil have each other/ You can stand under my umbrella – tradotto “Ora che piove come non mai, sappi che noi saremo sempre insieme, puoi ripararti sotto il mio ombrello”. Meglio sarebbe “Ora che piove come non mai, sappi che ci apparteniamo ancora, puoi stare sotto il mio ombrello”.

Ma sono piccoli particolari ed è pur vero che, se di letteratura si trattasse, pure una traduzione non eccezionale qualcosa lascerebbe. E qui di letterario non c’è molto. Si tratta di uno dei tantissimi (troppi) romanzi di cassetta, ben costruiti e con un certo mestieraccio dell’autore che circolano nelle librerie di tutto il mondo. Se non avesse recato il brand Rowling non se ne sarebbe parlato più di tanto.

 

(C) 2013 by Francesca Diano TUTTI I DIRITTI RISERVATI

3 commenti (+aggiungi il tuo?)

  1. Marco
    Feb 12, 2013 @ 21:05:01

    I due pezzi sono in realtà citazioni da una canzone che più pop non ce n’è, “Umbrella” di Rhianna. Ecco perchè li hanno lasciati in lingua

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  2. Marco
    Feb 12, 2013 @ 21:11:30

    PS Anche tu sei convinta che Tolkien (almeno la traduzione italiana) manchi di calore? Io lo penso anche di Asimov. Eppure sono grandi nell’ambientazione e nella nuda struttura di personaggi, luoghi, eventi, elementi fantastici. Cosa che probabilmente si può dire di Harry Potter, che non ho letto. Molto fantasy può piacere perché il mondo proposto ha un dettaglio impressionante, anche se manca il resto. E’ quella sensazione di infinito, di vasti orizzonti, che si trova anche nel fumetto, nel cartone animato, unita alla lunghezza (molte pagine o molti episodi) che, se magari non corrisponde a densità (molte pagine ma lette a pacchi di dieci) ci fa affezionare ad elementi persino volutamente scelti fra il già noto (molti anime, ad esempio, peccano di scarsa originalità ma propongono questo o quel tema con tanta convinzione- o insistenza- da meritarsi un angolo nella tua testa)

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  3. Francesca
    Feb 12, 2013 @ 21:44:43

    Caro Marco, sì lo so che sono citazioni da “Umbrella” di Rhianna. E so che in questo caso il testo si lascia in originale e si traduce in nota. Sono traduttrice anche io. Il punto non era questo, se hai letto bene, ma tutt’altro. Poiché un mio amico inglese l’ha letto in originale e diceva che lo stile della scrittura era molto interessante, mi sono chiesta se la traduzione italiana potesse averlo in qualche modo appiattito. Non ho letto l’originale inglese e dunque mi sono solo potuta basare sulle uniche parti lasciate in inglese e tradotte in nota e ho notato qualche imprecisione che, comunque, muta il senso del testo. “Staremo sempre insieme” infatti non ha affatto lo stesso senso di “ci apparteniamo ancora “, anzi, c’è una bella differenza semantica.
    Per quanto dici poi a proposito di Tolkien e Asimov, io la vedrei diversamente, anche se entrambi provengono dal mondo accademico. Asimov è uno scienziato che scrive meravigliosa fantascienza, Tolkien è un grandissimo linguista e filologo che crea un mondo fantastico attingendo alle sue oceaniche conoscenze e a una fantasmagorica immaginazione. Insomma, entrambi immaginano mondi onirici radicandoli alle rispettive conoscenze di studiosi. L’uno nel futuro e l’altro nel passato. Futuro e passato, per la verità, al di fuori del tempo. La questione, che tu poni come “mancanza di calore”, per quanto mi riguarda è più un occhio accademico che non lascia mai gli scritti di Tolkien, ma che non c’è in Asimov. Il mondo fantasy (o almeno così l’hanno definito e non so quanto Tolkien avrebbe approvato questa definizione, con le accezioni che poi ne sono derivate) dei testi tolkieniani, pur riproducendo il mondo delle leggende, dell’epica e dei miti, manca di quella spontanea naturalezza che ad essi ha dato vita. Per quanto i suoi scritti lascino a bocca aperta per la ricchezza dell’immaginazione e per la complessità delle vicende, per la loro visionarietà, sono delle costruzioni artificiali e artificiose. Una ricostruzione museale di un mondo privo di radici naturali.
    Asimov invece crea universi algidi proprio per una scelta voluta, dove tuttavia le emozioni esistono ed entrano in conflitto con una disumanizzazione crescente. Non ricrea filologicamente mondi scomparsi, ma crea mondi di là da venire. La sua esperienza di scienziato gli permette di renderli verosimili.

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