LO SGUARDO DI MIO PADRE
L’ultimo sguardo
Che non fu l’ultimo
Eppure quello s’è inciso
Come vero congedo
Fu sulla soglia prima di andare
Prima di entrare in una stanza
Estranea dove saresti morto
Atrocemente
Da vincitore.
Il cappotto e il cappello
Troppo grandi e pesanti
Ormai in quel dicembre
Che mai divenne Natale
Per il ragazzo elegante
Dai capelli ondulati
Che sempre mi sorride –
Mentre lavoro e penso
E a volte mi strazio
Dentro senza lacrime –
Dalla foto di una remotissima
Primavera seppia.
Nei tuoi occhi l’addio
La consapevolezza dell’addio.
L’ultimo sguardo dalla soglia,
Alle favole che mi raccontavi
Al cavalluccio sulle tue ginocchia
Alla stella di porporina del presepio
Che andammo a comprare una sera
Di nebbia nella bottega
Dell’elettricista sotto i portici quasi deserti
E io ero stanca e mi portasti
A cavalcioni sulle spalle.
Alla tua disperazione
Quando nella nuova città
Fredda stavo quasi morendo
E passasti la notte seduto
Ostinato
Per terra accanto al mio lettino
Per soffrire con me – come dicesti.
All’amarezza di non aver compiuto
Tutto come volevi
Nella vita – il tuo pensiero
Acuminato rasoio luminoso
Veggente del passato e del futuro
Giunto dove nessuno era giunto
E s’era inoltrato lungo il percorso
Più oscuro dei tuoi padri Greci
Rivelandolo nella sua luce abbacinante
Interrotto dall’accanirsi inutile di cure
Prive di senno e senso e compassione.
L’addio allo sconforto del sacrificio
Cui t’eri crocefisso dall’infanzia aggrappato
A un perenne senso di colpa che t’ha scagliato
Dritto nelle fauci di un inferno
Travestito da Eden. Nel tuo sguardo
C’era la vittima che mai si sentì tale
Autoimmolata a una divinità
Che mai fu tale se non
Nella proiezione del tuo desiderio
O della tua speranza dura a morire
Da cui ti risvegliavi a tratti
E ti accorgevi di aver paura
Del suo vero volto
E subito chiudevi ancora gli occhi.
E c’era il discernimento che tutto t’agguantava –
E guardavi senza temere più –
Della vita che ti sfuggiva
Correndo veloce – già ricordo
Eppure amata che hai bevuta come coppa
Avvelenata fino in fondo
Padre
Della vita a cui sapevi
E temevi di lasciarmi.
E così è stato
Padre
Così è stato.
16/02/2016
Francesca Diano
(C)2016 by Francesca Diano RIPRODUZIONE RISERVATA
Francesco Farina
Feb 16, 2016 @ 16:10:56
Nei versi di una intensità struggente ritrovo tutto
tuo Padre, reso ancora più grande dalla sofferenza.
Rammento una delle tante bellissime lezioni sul dolore che non ammaestra (Eschilo), ma santifica (Sofocle).
Grandissimo Carlo Diano! Lo sento quotidianamente accanto a me e torno in cuor mio a dedicargli la Medaglia Winckelmann, conferitami nel 2012 dal Borgomastro di Stendal.
Ci manca terribilmente, vero, Francesca cara?
Un abbraccio forte forte
Francesco
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Francesca
Feb 16, 2016 @ 19:54:38
Sì Francesco, ci manca. Ma è guida anche da lì. Grazie della dedica nobile che gli facesti. Lui lo sa. Ti abbraccio.
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natàlia castaldi
Feb 17, 2016 @ 00:39:07
sono felice di averla letta, Francesca, perché mi riconcilia alla poesia autentica, quella che racconta la lacerazione del distacco senza smettere mai di essere evocazione e laica preghiera. Niente si spegne con la fine.
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Francesca
Feb 17, 2016 @ 00:43:22
Grazie Natàlia dolcissima. No, niente si spegne, anzi, tutto risplende nella sua Verità
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Ubaldo.derobertis
Feb 17, 2016 @ 21:07:48
Intima, struggente la tua poesia, Francesca. Rivela un amore fra te e tuo padre che fa onore ad entrambi. Quello sguardo é ancora presente e come tu teneramente lucidamente scrivi: ” Non fu l’ultimo.”
Ti abbraccio, Ubaldo
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Francesca
Feb 17, 2016 @ 21:58:14
Grazie Ubaldo, lettore acutissimo come sempre. Del resto come potresti non esserlo, dato il poeta e l’uomo che sei?
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giorgio linguaglossa
Mar 10, 2016 @ 16:38:48
Una poesia appassionata, dove scorrono i frammenti dell’amore e dell’ammirazione dalla figlia al padre. Per questo è così difficile scrivere poesie al padre o alla madre, perché si può cadere facilmente dalla passione all’elegia. Pochi hanno scritto una poesia al padre bella come questa.
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Francesca
Mar 10, 2016 @ 17:32:21
Giorgio…. ti abbraccio fratello caro
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Salvatore Martino
Feb 17, 2017 @ 18:05:23
Parole come pietra che sciolgono il silenzio, convertono l’effimero nell’eterno, ma non possono aggrumare il dolore che sempre viene dalla mancanza, dal non raccogliere più il suono della voce,o le mani che non possono più invadere il corpo. Questa tua straziante trenodia cara Francesca così imbevuta di pathos si riavvolge tuttavia in uno straordinario dettato di dignità, in un fluire di immagini, ricordi, meditazioni che mi hanno lasciato una profonda disperazione, ma anche la consapevolezza che malgrado tutto qualcosa sopravvive..e non so come. Salvatore con l’affetto e l’amicizia che mi auguro sempre di consolidare.
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Francesca
Feb 18, 2017 @ 12:38:25
Caro Salvatore, come sempre, molto generoso. Ho cercato di riversare solo quel sentimento di amore e di perdita, ma anche tutto quello che uno sguardo può contenere. Un abbraccio con grande affetto
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