NEAL HALL
POESIE SCELTE
Tradotte da Francesca Diano
Neal Hall è un chirurgo americano, oftalmologo e poeta. Tre qualifiche completamente in armonia fra loro, perché la sua voce, che ha una potenza ipnotica, travolgente quando legge la sua poesia, è anche una voce che sonda e perfora ed estrae e rende visibile – che porta il “vedente al veduto” – il male, l’ingiustizia, i diritti calpestati, i pregiudizi, la sofferenza che l’uomo causa all’uomo. Nato a Warren, nell’Ohio, si è laureato alla Cornell University e successivamente si è specializzato ad Harvard, inoltre è stato medaglia d’oro alle Mini Olimpiadi.
Quasi del tutto sconosciuto da noi, è invece considerato a livello mondiale uno dei poeti più autorevoli e ha ottenuto moltissimi premi e riconoscimenti negli USA, in molti paesi africani, in Canada, in Nepal, in India, Jamaica e Indonesia. Vive negli Stati Uniti, dove esercita la sua professione ed è autore di quattro raccolte poetiche, Nigger for Life, Winter’s A’Coming Still, Where Do I Sit e Appalling Silence, da cui è tratta questa poesia e che è stato tradotto in telugu e urdu. E’ stato definito un “guerriero dello spirito” perché la sua poesia si ispira agli insegnamenti di Martin Luther King, Malcom X e a tutti quei profeti e anime illuminate che nei secoli hanno predicato l’abbattimento delle disuguaglianze, l’amore per il proprio prossimo, la compassione. Quello che si può intendere, insomma, come “poeta civile”. Un tempo si diceva “impegnato”. Io lo definisco un grande poeta che crede nell’uomo. È anche la voce di quella che definisce unspoken America, quella parte della realtà americana che viene passata sotto silenzio, che non ha affatto cancellato il razzismo, le disuguaglianze. le differenze fra cittadini di serie A e quelli di serie B.
Eppure in lui è assente ogni retorica, inutile orpello quando la purezza della lingua, l’armonia sottilissima dei suoni e la forza dirompente dell’amore per l’uomo rendono ogni suo testo un grande grido rivolto all’umanità.
Appalling Silence, che ho scelto di tradurre Agghiacciante silenzio, ispirata ad alcune parole famosissime di Martin Luther King, è un testo che dilania, perché dice il vero, perché così è ed è stato in ogni tempo e in ogni luogo, perché l’esperienza devastante di privare l’uomo della propria umanità o di non riconoscersela dentro. o di vedersela negata e sottratta è una atroce condizione dell’uomo, ma può essere anche un’esperienza individuale di cui si portano le ferite. E ancora più forte è l’impatto di questa poesia perché la sua forma perfetta, limpidissima, parrebbe fare a pugni con l’oggetto di cui parla, e invece proprio lo scontro di quella bellezza con quell’atrocità fa sì che si intensifichino e si esaltino reciprocamente. Hall non si sofferma a sottilizzare su quali siano i mali che l’umanità è in grado di produrre quando perde la sua umanità, l’essenza, quella che vede lògos e philìa inscindibilmente uniti insieme. Quando questo avviene, il nome collettivo “umanità”, che indica l’insieme di coloro che condividono l’essenza dell’umano, si svuota immediatamente di senso e il nome non è più la cosa. Significante e significato vedono scardinato il legame inscindibile che li unisce e la lingua stessa perde di senso. Diviene un vuoto articolare di suoni sconnessi. Dunque si torna a una fase pre-umana, subumana. E’ questo il cammino perverso a ritroso verso cui l’uomo, quando dimentica e annienta la storia stessa della nostra evoluzione spirituale, si inoltra.
Form, è una poesia importante, una dichiarazione di poetica, in cui Hall riflette sul valore e sul senso della Forma per l’artista: non una limitazione o una costrizione, ma la via aurea verso la libertà creativa.
Francesca Diano
Agghiacciante silenzio
non è la notte
ma l’assenza di luce
non è l’ardore opprimente del deserto
ma la pioggia che manca di cadere
non è l’uomo che perde umanità
togliendo, negando umanità al proprio simile, ma
l’uomo che manca di trovare la propria umanità
lottando per ridare, per cedere di nuovo
l’umanità vista, presa, sottratta al proprio simile
non è il clamore stridente né le caustiche voci
dei malvagi, ma il silenzio agghiacciante
di quelli che dichiarano d’essere brava gente[1]
non è la notte,
ma l’assenza di luce
che ci tiene allo scuro
e in quell’oscurità non dobbiamo ricordare
le parole dei nostri nemici, ma
il silenzio dei nostri amici.[2]
*
Appalling Silence
it is not the night,
but the absence of light
it’s not the sweltering fervour of the desert
but the rainfall that fails to fall
it is not humanity that loses its humanity
taking, denying humanity from its fellow man, but
humanity that fails to find its humanity
fighting back to give back to grant back
humanity seen, taken, denied its fellow man
it is not the strident clamor nor the vitriolic voices
of the bad people, but the appalling silence
of those who claim to be the good people [1]
it is not the night,
but the absence of light
that keeps us in the dark
and in that darkness we must remember not
the words of our enemies, but
the silence of our friends [2]
[1] Martin Luther King
[2] ibid
Il peso del “soltanto un nero”
Non è il peso del nero
ma l’immensità dell’esser reso
tale… soltanto un nero ogni volta
che un bianco mi ha di fronte.
È il peso della derivazione bianca del nero;
definizione derivativa del “soltanto un nero” in parte derivata
dalla condizione sociale creata in buona parte dai bianchi
il logorio continuo di un’immagine errata, inaccurata
che favorisce una descrizione distorta, preconcetta di
una distinzione malevola della natura nera,
dell’immagine nera, del suono nero, la portata di derivati
neri del nero derivato che mi ricostituiscono
grazie alla società dei bianchi come “soltanto un nero”
è l’immensità del sospetto immediato solo al vedermi
attraverso i mari azzurrini di pupille ristrette
che stringono i loro timori circolari come una
corda d’impiccato attorno al mio collo nero;
è il peso del torcersi e tendersi dei muscoli e dei tendini
bianchi voli sospesi di paura, pronti a chiamare la polizia
militarizzata che serve e protegge i bianchi nelle zone protette e senza neri
è la densità appesantita dal tono bianco
quando parlando a un bianco poi ti rivolgi… soltanto a un nero;
è lo storcere un naso autorizzato, narici dilatate,
lo sguardo torvo di una visione limitata
attraverso palpebre diffidenti strette a fessura
è il peso smisurato dell’odio
quando afferravano le loro borse Gucci
solo al vedermi
o bloccavano le portiere dell’auto,
solo al vedermi
o richiamavano i figli che giocavano nelle corsie dei grandi magazzini,
solo al vedermi
la gravità del tono familiare nel riferirsi a me, nel darmi un altro nome,
tu che vuoi, solo al posarmi gli occhi addosso
è la demenza della ‘N’ nel nero di negro
nero subumano, il semaforo verde al nero
di sparare alle spalle ai neri, celandolo, recintando
le vittime del nero sulla scena del crimine
con alibi plausibili e negabilità;
nascondendo ombre di nero discese fra linee che dividono, separano
la società bianca dal soltanto un nero, soppesato soltanto per il suo essere nero;
un derivato di me che deriva dal ricostituirmi
come “soltanto un nero”.
Weight of Just Black
it’s not the weight of black
but the immensity of being made
to be… just black every time
white confronts me.
It’s the weight of white’s derivation of black;
a derivative definition of ‘just black’ derived in part
by the social conditions created in large part by whites
it’s the stress and strain of an inexact, inaccurate depictions
to foster an ill-conceived, preconceived description of
an ill-meaning distinction of black nature,
black imagery, black sound, the scope of black –
derivatives of black derived reconstituting me
by white society to be ‘just black’
it is the immensity of immediate suspicion the first sight of me
through aqua blue seas of constricting pupils
narrowing their circular misgivings like a
hang man’s rope hung about my black neck;
it’s the weight of torque and tension in muscles and tendons
poised white flight or fright, postured to telephone militarized
police who serve and protect white in red lined, black free zones
it is the weighted density in white tone
when switching from speaking to a white to… just a black;
it’s the lift of an entitled nose, flaring of nostrils,
a glaring view through a narrowed view
through slits in mistrusting eyelids
it’s the enormous weight of hate
when they clutched their Gucci hand bags
the first sight of me
the locking of the car doors,
the first sight of me
the collecting of the brood frolicking in aisles of department stores,
the first sight of me
the gravity of familiarity referring to me, renaming me
what’s up, my man the first they lay eyes on me
it is the insanity of ‘N’ in nigger black
sub-human black, green light black to
shoot blacks in the back, concealing it, tracing
the slain outlines of black in crime scene tape of
plausible alibis and deniability;
concealing fallen shadows of black in lines that divide, sever
white society from just black, weighted to be just black;
a derivative of me derived reconstituting me
to be ‘just black’.
*
Dottor Negro
Dottor Negro
Mi puoi curare senza
toccarmi con le tue mani negre?
Puoi salvarmi la vita
senza cambiarmi la vita?
Puoi ballare il tip-tap
canticchiando quelle ariette negre
quando la mia vita bianca ha il Codice Blu?[3]
Puoi cercare dentro te stesso
dietro la merda che ti abbiamo messo dentro…
oltre i momenti di dolore che ti abbiamo messo dentro…
oltre la disperazione e lo sconforto
che ti abbiamo messo dentro e
trovare in te quell’antica magia nera
per salvarmi la vita senza cambiare
tutta la merda che ti abbiamo messo dentro?
Dottor Negro
Puoi insufflarmi dentro
dell’aria libera dal negrume
che viene da un negro non libero
di inalare liberamente l’aria?
Puoi rimanere dalla parte di colore
della separazione fra colori dimenticando le tue pene
senza toccarmi con quelle mani da negro
per far ripartire il mio cuore blu senza
cambiare il mio gelido cuore?
Puoi dimenticarti della vita
che ti abbiamo rubato e
salvare la mia senza che
la mia vita bianca scorra via?
Puoi, Dottor Negro
essere più grande, solo per un minuto,
di quella vita[4], per più di un solo minuto
per salvarmi la vita
senza prendermela?
Puoi curarmi senza
toccarmi
con quelle mani da negro?
Puoi
ballare il tip-tap
mentre
canti quelle ariette negre
mentre
mi salvi la vita
senza cambiarmi la vita
quando la mia vita bianca ha il Codice Blu?
Dr Nigger
Dr. Nigger
Can you cure me without
touching me with nigga hands
Can you save my life
without changing my life
Can you dance soft-shoe while
humming those negro tunes
when my white life codes blue
Can you reach inside yourself
beyond the shit we put in you…
past painful moments we put in you…
past despair and hopelessness
we’ve put in you and
find that old black magic in you
to save my life without changing
all the shit we put in you.
Dr. Nigger
Can you breathe in me
air free of nigga
from a nigger not free
to breathe in free air
Can you stay on the colored side
of the color line and reach across your woes
without touching me with those nigga hands
to restart my blue heart without
changing my cold heart
Can you reach past the life
we’ve taken from you and
save my life without letting
the white life pass me by
Can you, Dr. Nigger
be bigger for just one minute
in it, for more than just one minute
to save my life
without taking my life
Can you cure me without
touching me
with those nigga hands
Can you
dance soft-shoe
while
humming negro tunes
while
you save my life
without changing my life
when my white life codes blue
*
Il mio nome
Ho giurato fedeltà a una bandiera issata
semiafflosciata e alla Repubblica che non rappresenta
una nazione… indivisibile… con libertà e giustizia per tutti.[5]
Ho recitato la preghiera del tuo signore, al tuo dio,
fatto a tua immagine… perché mi liberi dai tuoi mali,
ma sia benedetto il suo nome, nessuna volontà sia fatta per le preghiere nere[6]
sulla sua terra né così nel suo cielo munito di porte.
Io ti ho dato la mia anima, lasciami il mio nome.[7]
Dopo tutte le tribolazioni, le angosce, le paure
sofferte per otto lustri e diciassette anni;[8]
il mio sangue, le lacrime, il sudore versati
in ogni valle in cui mi hai abbandonato,
ho cantato … My country tis of thee…[9]
quando mi hai detto di cantare
ho salutato, all’ultimo raggio del crepuscolo,
le tue larghe strisce e stelle brillanti
che sventolavano sulla terra che hai dichiarato libera e
patria dei prodi ma non prodi a tal punto
da lasciare che ogni uomo fosse libero.[10]
Io ti ho dato la mia anima, lasciami il mio nome.
Ti ho creduto quando affermavi che Colombo,
con la certa perizia di gran navigatore
salpò verso ovest per trovare l’India che sta a est e
scoprì un continente che non s’era perso né teneva ad essere scoperto;
abitato da uomini che non s’erano persi né tenevano ad essere scoperti
e diede loro un nuovo nome, diverso dal loro nome.
Io ti ho dato la mia anima, lasciami il mio nome.
Perché se la libertà viene a chiamare e non ho un nome
da poter chiamare, come potrò essere liberato. Lasciami il mio nome.
Ti ho creduto quando hai dichiarato
che Jefferson affermava con tenerezza amorevole
d’averla stuprata[11] – stupro di schiave, stupro di piantagioni,
stupro socioeconomico – lei consenziente.
Ho creduto alla tua bugia che Washington mai disse una bugia;
che si trattasse d’una guerra civile combattuta da uomini civili
per liberare schiavi incivili che Lincoln, senza tensioni, presiedeva
in modo “che questa nazione possa affermare ancora una seconda nascita di libertà;
un secondo nuovo diritto di essere una nazione concepita nella Libertà, e
votata al principio che tutti gli uomini sono creati uguali.”[12]
Per questo proposito e per queste parole rimasti ancora incompiuti e abbandonati
ti ho dato la mia anima, lasciami il mio nome.
Perché quando la libertà verrà a chiamare e io non ho un nome
da poter chiamare, come potrò essere liberato.
Io ti ho dato la mia anima, lasciami il mio nome.
*
My Name
I have pledged allegiance to a fully masted,
half flaccid flag and to the Republic which stands not,
one nation…indivisible…with liberty and justice for all.
I have prayed your lord’s prayer, to your god,
made in your image… to deliver me from your evils,
but hollow be his name, no will for black prayers to be done
on his earth nor as it is in his gated heaven.
I have given you my soul, leave me my name.
After all my toils, frets and fears suffered
two scores and seventeen years;
(all) my blood, sweat and tears poured
Into every valley you’ve forsaken me in,
I’ve sung… My country tis of thee…
when you said sing
I have, at your twilight’s last gleaming,
hailed your broad stripes and bright stars
waving over land you’ve proclaimed to be free and
home of the brave not yet brave enough
to let all men be free.
I have given you my soul, leave me my name.
I believed your claim that Columbus,
with certain navigational precision
sailed west to find India sitting in the east and
discovered a continent not lost not looking to be found;
inhabited by men not lost not looking to be found and
he renamed them a new name, other than their own name.
I have given you my soul, leave me my name.
Cause if freedom come a calling and I have no name
To be called, how will I be freed. Leave me my name.
I believed you when you proclaimed,
Jefferson professed with loving tenderness
that ‘her’ rape – slave rape, plantation rape,
socioeconomic rape – was consensual.
I have believed your lie that Washington never told a lie:
that it was a civil war fought by civil men
to free uncivilized slaves that Lincoln, without fraught, presided over
so “that this nation, could claim yet a second new birth of freedom:
a second new claim to be a new nation, conceived in Liberty, and
dedicated to the proposition that all men are created equal.”
To these yet unfinished and abandoned words and work,
I have given you my soul, leave me my name.
Cause when freedom comes a calling and I have no name
to be called, how will I be freed.
I have given you my soul, leave me my name.
Verniciatura[13]
Perfezione artificiosa,
sparsa superficialmente con uniformità su irregolarità di superficie,
a nascondere imperfezioni emerse dall’interno;
manifestazioni visibili di intimi timori del timore, e
bugie coreografate attorno a cui danziamo
per far girare la verità.
Una banconota malamente contraffatta
da cento dollari, ben tesa
per avvolgere un rotolo di biglietti da uno
falsi sorrisi amichevoli
che laminano la superficie del nostro odio
una calza di satin liscio e setoso
che tessiamo a coprire i piedi ruvidi
su cui andiamo danzando in giro la verità.
Verniciatura
questo laminato,
questa immacolata concezione concepita per resistere all’inferno
la fabbrichiamo per indossarla, per coprire le nostre tracce le nostre code
per coprire i furti che compiamo,
quando uccidiamo,
quando rendiamo falsa testimonianza nel buio
abisso sotto la superficie di quegli
strati di laminato ben poco aderenti:
non rubare,
non uccidere,
non dire falsa testimonianza.
Verniciatura
una tenda Marquise a mascherare maschere di pulizia e rinascita,
facciate che altro non sono se non
una maggior piacevole apparenza,
non più che un più attraente materiale di superficie
di bugie superficiali dal sottile rivestimento, che rivestono appena
chi veramente siamo e che s’annida sotto le menzogne
della purga e della rinascita dell’anima.
Verniciatura
questo intarsio di due, a ricoprire uno, sopra inserito
per dividere l’uno in due metà
che mai furono intese: un tu, un me,
un giusto, uno sbagliato, un nero, un bianco,
luce nera sintetizzata che emette
composti fluorescenti di oscurità artefatta,
a proiettare ombre ottenebrate
sotto cui nascondiamo i mali della nostra superficie.
Riverniciati
Noi siamo, manichini fabbricati,
modelli la cui superficie è una natura morta, abbigliati
con abiti monogrammati da vetrina,
facciate sotto cui sanguiniamo per negazioni di sangue,
avvolti in strati diafani di false verità
con cui celiamo la nostra vera essenza per apparire
più amorevoli nel nostro falso amore,
più tolleranti nella nostra tolleranza sintetica
più umani nella nostra umanità inumana
come appariamo falsamente essere
per mascherare quello che siamo diventati…
una banconota malamente contraffatta
da cento dollari, ben tesa
per avvolgere un rotolo di biglietti da uno
falsi sorrisi amichevoli
che laminano la superficie del nostro odio
una calza di satin liscio e setoso
che tessiamo a coprire i piedi ruvidi
su cui andiamo danzando in giro la verità…
Veneer
Articial perfection,
evenly spread superficially across surface irregularities,
concealing surfaced inner imperfections;
outward manifestations of inner fears of fear, and
choreographed lies we dance around
to spin around the truth.
An ill-fitted counterfeit
hundred dollars bill, stretched
to fit over a folded wad of ones
a forged friendly smile
laminated the surface of our hate
a smooth silky satin sock
we weave to cover rough feet
we dance around the truth upon.
Veneer
this laminate
this conceived hell-resistant immaculate conception
we fabricate to wear, to cover our trail to cover our tails
to cover when we steal,
when we kill,
when we bear false witness in the dark
abyss beneath the surface of those
loosely adherent layered laminates;
thou shalt not steal,
thou shalt not kill,
thou shalt not bear false witness.
Veneer
Marquise masquerading masks of cleansing and rebirth,
facades that are no more than
a more pleasing appearance,
no more than a more desirable surface material
of skim coat surface lies, thinly coating
who we really are lurking beneath the lies
of soul cleansing and rebirth
Veneer
this inlay of two, overlying one, added on top
to divide the one into two halves one
was never meant to be: a you, a me
a wrong, a right, a black, a white,
synthesized black light emitting
florescent composites of manufactured darkness,
casting unenlightened shadows
we hide our surface woes beneath.
Veneer’d
we are, manufactured mannequins,
still life surface paragons, dressed up
in monogrammed windows dressings,
facades beneath which we bleed sanguineous denials,
shrouded in diaphanous layers of artificial truths
we cover our true selves in to appear
more loving in our false love,
more tolerant in our synthetic tolerance
more human in our inhuman inhumanity
we falsely appear to be,
to cover over what we have become…
An ill-fitted counterfeit
hundred dollars bill, stretched
to fit over a folded wad of ones
a forged friendly smile
laminated the surface of our hate
a smooth silky satin sock
we weave to cover rough feet
we dance around the truth upon.
*
Gli occhi di Van Gogh
Occhi intelati
che osservano passare teste dipinte
fermando lo sguardo d’un istante sulla palette dei miei mali,
dipinta di blu intenso, con pennellate d’indaco Van Gogh
rifiutando di lasciare la presa su quest’anima sgomenta
occhi intelati
che osservano la loro visione di visioni in fila ferme colorate
passare l’una dopo l’altra
in cornici inclinate, che incorniciano teste inclinate
appese a pareti inclinate che non vedono ancora
il paesaggio tappezzato di teli cui sono appesi fiori vizzi,
esposti in corridoi di porte chiuse e menti di
campi d’ambra in lutto che una rabbia grigia ha incendiato
in un turbinio violento ed offuscante di tinte che rifiutano
di cambiare la loro visione del colore di volti tinti logori
appesi al ritratto della pena, appesi a muri vuoti
per guardare passanti dipinti, che lì passano, si fermano
rifiutando ancora di vedere, negli occhi intelati, esposta
una testa priva di cornice, un muro senza nome,
questi occhi scrutatori di Van Gogh.
Van Gogh Eyes
Canvassed eyes
watching passing portrait’d heads
pausing their moment’s view the palette of my ills,
painted a deep blue, brushed a Van Gogh indigo
refusing to let go its hold this dismayed soul.
Canvassed eyes
watching their view of queued, paused colored views
passing one after the other
in tilted frames framing tilted heads
hung from tilted walls, not seeing still the
littered linen landscape wilted flowers are hung,
put to gallery in corridors of close doors and minds of
mourning fields of amber gray rage set ablaze
to swirl a violent haze of hues refusing to
change their colored views of hue’d weathered faces
hung in portrait pain, hung on empty walls
to watch portrait’d passers, passing by, pausing
refusing to see still, in canvassed eyes, hung
a frameless head, a nameless wall,
these Van Gogh eyes watching.
*
Forma
è questa crisalide –
questo crogiuolo che mette
ali alle farfalle per volare
questa cisterna di fiumi
che schiude mari
la pula da cui le granaglie
macinate vengono liberate
questa cista da cui l’eternità si solleva
la forma è disciplina,
il crogiuolo attraverso cui
perdiamo la costrizione della forma
la forma è la via che apre i mari
la via d’uscita dalla crisalide
è la disciplina della forma
quella foggia di bocca
che libera le labbra per baciare
oltre la foggia di labbra e bocca
è il latte del seno
non il seno materno
che ci nutre, ci forma, ci rende liberi
dal seno materno
la forma è la via d’uscita dalla forma,
la ferrovia sotterranea
non la destinazione che libera
l’artista dai binari della via
forma è percorso verso il non formato,
l’essenza dell’essere; il crogiuolo che mette
ali alle farfalle per volare
in mare aperto
Form
it is this chrysalis –
this crucible that sets
wings to butterflies to fly
this cistern of rivers
that opens seas
the chaff from which ground
grist of grain are freed
this cist, eternity lifts itself out of
form is the discipline,
the crucible through which
we lose the constraints of form
form is the way to open seas,
the way out the chrysalis
it is the discipline of form,
that shape of mouth
that frees the lips to kiss
beyond the shape of lips and mouth
it is the breast milk
not the mother’s breast
that feeds us, forms us, frees us from
the mother’s breast
form is the way out of form,
it is the underground railroad
not the destination freeing the
artist from the rails of the road
form is the path to formlessness,
the gist of being; the crucible that sets
wings to butterflies to fly
through opens seas
*
In cima alla montagna
Sono stato in cima alla montagna
dove m’hanno mandato
quando m’hanno chiesto di non chiedere
quello che il mio paese poteva fare per me,
ma quello che potevo fare per il mio paese[14]
mentre il mio paese faceva me.
Sono stato in cima alla montagna,
lì non c’è niente tranne uno strapiombo.
Dai colli del New Hampshire
dalle vette potenti di New York
agli Allegheny della Pennsylvania
dalle cime innevate delle Rocky Mountains
ai pendii della California[15]
non ci sono regni… non sogni
né terra promessa
né mani accoglienti
né terre di pari opportunità
né dei “pagherò” a garantire la libertà
non c’è libertà che risuona
né un noi in “Noi il Popolo.”[16]
I miei occhi non vedono niente
tranne dei negri antiquati attaccati
a un incubo che si spaccia per sogno.
Non puoi liberare nessuno se la tua mente non
è libera di capire che il loro canto non canta:
Paese [ nostro] è di te,
dolce terra della libertà che canto.
Terra dove i [nostri] padri sono morti
Terra dove dalla cima di ogni montagna,
dicono,
lascia che la libertà risuoni.[17]
Sono stato in cima a quella montagna,
lì non c’è niente tranne uno strapiombo.
Mountaintop
been to the mountaintop
where they had me
when they asked me to ask not
what my country could do for me
rather, what I could do for my country 1
whilst my country was doing me.
I’ve been to the mountaintop,
Ain’t nothing there but a straight drop
From the hilltops of New Hampshire
from the mighty mountains of New York
to the Alleghenies of Pennsylvania,
from the snowcapped Rockies
to the slopes of California2,
there ain’t no kings . . . no dreams
no promised land
no embracing hands
no lands of equal opportunity
no promissory note guaranteeing liberty
ain’t no freedom’s ring,
no we in We The People.
My eyes can’t see anything
but dated niggers clinging
to a nightmare posing as their dream
You can’t free nobody if your mind ain’t
free to see that their song won’t sing,
[our] county tis of thee,
sweet land of liberty
Land where [our] fathers died
Land where from every mountaintop,
they say,
let freedom ring3.
I’ve been to that mountaintop,
ain’t nothing there but a straight drop.
-
John F. Kennedy’s Inaugural Address, Jan 20, 1961
2. I Have a Dream Speech, Martin Luther King, Aug 28, 1963
3. America, My Country Tis of Thee – S.F. Smith,1831
*
Doniamo
La Guerra non ci toglie I nostri e figlie
Siamo noi a regalare i nostri figli e figlie
Ai signori della guerra che fanno la guerra per essere signori
E padroni sacrificando i nostri figli e figlie
Magnati, signori della guerra avvolti in bandiere.
In inni patriottici, in slogan per mettere mitraglie
In mano ai nostri figli e figlie
Per farne martiri e rivenderli a pagare
L’estremo prezzo della vita per un maggiore pezzo di terra
Per i signori della terra.
La guerra non ci toglie i nostri figli e figlie
Siamo noi a regalare le perle più preziose
Regaliamo i nostri figli e figlie
Ai signori della guerra che fanno la guerra per essere signori
E magnati vestendo i nostri bambini e le nostre bambine
In uniformi da guerrieri che marciano uniformemente al suono di:
“Lo difenderemo”
“arruolatevi” insieme a
“potere di fuoco potere del paese” e per questa causa
“Non c’è missione troppo difficile,
nessun sacrificio è troppo grande, prima il dovere”
questo che i vostri figli e figlie difenderanno
La Guerra non ci toglie i nostri e figlie
Siamo noi a regalare i nostri figli e figlie
Li regaliamo
Ad inni nazionali orchestrati dai magnati,
a bandiere issate dai signori della guerra
a slogan scritti da torme dei loro reclutatori
predatori che reclutano i nostri bambini e le nostre bambine
per la grossa idiozia che tutti potete essere guerrieri
i nostri figli e le nostre figlie
non è la guerra a sottrarceli
siamo noi a regalarli
a bandiere e slogan e a inni nazionali
che mettono in mano le mitragliatrici
ai nostri figli e alle nostre figlie per della terra
*******
[1] Martin Luther King. “Potrà succedere che noi di questa generazione dovremo pentirci. Non solo per le parole caustiche e le azioni violente dei malvagi, ma per il silenzio agghiacciante e l’indifferenza delle brave persone che se ne stanno sedute e dicono: aspetta il momento giusto”. Martin Luther King Jr., A Testament of Hope: The Essential Writings and Speeches
[2] Ibidem
[3] Codice di massima emergenza al Pronto Soccorso. (N.d.T.)
[4] Nel testo si fa riferimento implicito al modo di dire inglese bigger than life, cioè straordinario, eccezionale. (N.d.T.)
[5] Adattamento del Giuramento di Fedeltà (Pledge of Allegiance) di Francis Bellamy (1855 – 1931) redatto nell’agosto del 1892. « Giuro fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d’America, e alla Repubblica che essa rappresenta: una Nazione al cospetto di Dio, indivisibile, con libertà e giustizia per tutti. » (N.d.T.)
[6] Adattamento dal Padre Nostro (Matteo 6: 9-13)
[7] Frase pronunciata da John Proctor, interpretato da Daniel Day Louis nel film Il crogiuolo, del 1996, tratto dal testo teatrale di Arthur Miller (N.d.T.)
[8] Adattamento del testo del Gettysburg Address, Il Discorso di Gettysburg, pronunciato da Abraham Lincoln nel 1863. Lincoln dice: “sedici lustri e sette anni orsono”, riferendosi alla Rivoluzione americana del 1776. (N.d.T)
[9] Inno patriottico scritto nel 1831 da Samuel Francis Smith sulle note dell’inno nazionale britannico
[10] Adattamento dell’inno nazionale americano
[11] Hall si riferisce al rapporto di Jefferson con la sua schiava Sally Hemings, da cui ebbe sei figli e cui non diede comunque mai la libertà. Oggi negli USA si tende a vedere quel rapporto come una forma di stupro legalizzato. (N.d.T.)
[12] Ancora un adattamento del Discorso di Gettysburg. (N.d.T.)
[13] Ho scelto di tradurre l’inglese Veneer, letteralmente “impiallacciatura, vernice, fig. apparenza superficiale”, con “verniciatura” nel senso di patina fittizia stesa sopra a nascondere le pecche. (N.d.T.)
[14] Citazione dal discorso di insediamento di John Kennedy, 20/01/1961
[15] Citazioni dal famoso discorso di Martin Luther King, I have a dream, del 28/08/1963 a Washington.(N.d.T.)
[16] “We The People” è il preambolo della Costituzione degli Stati Uniti. (N.d.T.)
[17] My Country, ‘Tis of Thee, canto patriottico di Samuel Francis Smith, 1831
(C)2016 Neal Hall e Francesca Diano RIPRODUZIONE RISERVATA
Serena Piccoli
Apr 25, 2016 @ 17:45:10
Grazie per averlo invitato a Padova e farcelo conoscere e per queste traduzioni. Buon lavoro con l’antologia!
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Francesca
Apr 25, 2016 @ 17:49:55
Grazie mille a lei. E’ stata una grande esperienza per tutti.
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ubaldo de robertis
Apr 30, 2016 @ 07:42:50
Ora, con la lettura di più testi, ho molti più elementi per riaffermare che la poesia di Neal Hall è potente e terribile! Lo avevo scritto il 22 marzo su questo stesso blog dopo aver letto; Verniciatura. Neal Hall appartiene alla specie nera e a noi che abbiamo un colore di pelle diverso dal suo, ricorda un nostro comportamento molto diffuso, del quale spesso non ce ne rendiamo nemmeno più conto, e ci costringe a chiederci cosa porta un uomo, un’aggregazione di uomini, una intera nazione, interi continenti ad essere, anche inconsciamente, xenofobi.
“Dottor Negro
Puoi insufflarmi dentro
dell’aria libera dal negrume
che viene da un negro non libero
di inalare liberamente l’aria?”
Il poeta affronta con versi crudi e taglienti argomenti quali il rifiuto e il rigetto del diverso, non risparmia strali a chi ha l’abitudine di discriminare e di estraniare altri esseri umani.
Ne deriva un ritratto impietoso della società retta dalla specie bianca che ci fa tornare in mente l’origine di questi “mali”: il traffico di schiavi, il colonialismo,l’apartheid.
Quella di Neal Hall è una poesia “che dilania, perché dice il vero, – afferma Francesca Diano, incomparabile traduttrice che sa leggere nell’animo del poeta, e completa il discorso – perché così è ed è stato in ogni tempo e in ogni luogo, perché l’esperienza devastante di privare l’uomo della propria umanità o di non riconoscersela dentro. o di vedersela negata e sottratta è una atroce condizione dell’uomo.”
Un bravo all’autore e all’amica Francesca Diano.
Ubaldo de Robertis
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Francesca
Apr 30, 2016 @ 13:52:03
Grazie Ubaldo, giustamente usi la parola “terribile”. Una delle esperienze più intense è poter ascoltare la voce di Hall che legge le sue poesie. Una voce bellissima, forte, cantante. Da noi non esistono poeti in grado di perforare con tanta forza la coscienza dell’ascoltatore e parlando inoltre di temi civili, di mali universali. I suoi reading sono davvero eventi. Ma è anche incredibile come abbia dedicato ormai la sua vita alla poesia, girando il mondo e parlando direttamente all’uomo, perché ritrovi in sé l’umanità che molti hanno perduto. Lui dice: “La mia poesia sono io e io sono la mia poesia”
Sì, siamo stati molto fortunati a poterlo ascoltare.
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