Neal Hall – Poesie – tradotte da Francesca Diano

Neal Hall a Padova presso il Centro Studi Diritti Umani dell'Università. 20/04/2016

Neal Hall a Padova presso il Centro Studi Diritti Umani dell’Università. 20/04/2016

 

NEAL HALL

 

POESIE SCELTE

 

Tradotte da Francesca Diano

 

Neal Hall è un chirurgo americano, oftalmologo e poeta. Tre qualifiche completamente in armonia fra loro, perché la sua voce, che ha una potenza ipnotica, travolgente quando legge la sua poesia, è anche una voce che sonda e perfora ed estrae e rende visibile – che porta il “vedente al veduto” – il male, l’ingiustizia, i diritti calpestati, i pregiudizi, la sofferenza che l’uomo causa all’uomo. Nato a Warren, nell’Ohio, si è laureato alla Cornell University e successivamente si è specializzato ad Harvard, inoltre è stato medaglia d’oro alle Mini Olimpiadi.

Quasi del tutto sconosciuto da noi, è invece  considerato a livello mondiale uno dei poeti più autorevoli e ha ottenuto moltissimi premi e riconoscimenti negli USA, in molti paesi africani, in Canada, in Nepal, in India, Jamaica e Indonesia. Vive negli Stati Uniti, dove esercita la sua professione ed è autore di quattro raccolte poetiche, Nigger for Life, Winter’s A’Coming Still, Where Do I Sit e Appalling Silence, da cui è tratta questa poesia e che è stato tradotto in telugu e urdu. E’ stato definito un “guerriero dello spirito” perché la sua poesia si ispira agli insegnamenti di Martin Luther King, Malcom X e a tutti quei profeti e anime illuminate che nei secoli hanno predicato l’abbattimento delle disuguaglianze, l’amore per il proprio prossimo, la compassione.  Quello che si può intendere, insomma, come “poeta civile”. Un tempo si diceva “impegnato”. Io lo definisco un grande poeta che crede nell’uomo. È anche la voce di quella che definisce unspoken America, quella parte della realtà americana che viene passata sotto silenzio, che non ha affatto cancellato il razzismo, le disuguaglianze. le differenze fra cittadini di serie A e quelli di serie B.

Eppure in lui è assente ogni retorica, inutile orpello quando la purezza della lingua, l’armonia sottilissima  dei suoni e la forza dirompente dell’amore per l’uomo rendono ogni suo testo un grande grido rivolto all’umanità.

Appalling Silence, che ho scelto di tradurre Agghiacciante silenzio, ispirata ad alcune parole famosissime di Martin Luther King, è un testo che dilania, perché dice il vero, perché così è ed è stato in ogni tempo e in ogni luogo, perché l’esperienza devastante di privare l’uomo della propria umanità o di non riconoscersela dentro. o di vedersela negata e sottratta è una atroce condizione dell’uomo, ma può essere anche un’esperienza individuale di cui si portano le ferite. E ancora più forte è l’impatto di questa poesia perché la sua forma perfetta, limpidissima, parrebbe fare a pugni con l’oggetto di cui parla, e invece proprio lo scontro di quella bellezza con quell’atrocità fa sì che si intensifichino e si esaltino reciprocamente. Hall non si sofferma a sottilizzare su quali siano i mali che l’umanità è in grado di produrre quando perde la sua umanità, l’essenza, quella che vede lògos e philìa inscindibilmente uniti insieme. Quando questo avviene, il nome collettivo  “umanità”, che indica l’insieme di coloro che condividono l’essenza dell’umano, si svuota immediatamente di senso e il nome non è più la cosa. Significante e significato vedono scardinato il legame inscindibile che li unisce e la lingua stessa perde di senso. Diviene un vuoto articolare di suoni sconnessi. Dunque si torna a una fase pre-umana, subumana. E’ questo il cammino perverso a ritroso verso cui l’uomo, quando dimentica e annienta la storia stessa della nostra evoluzione spirituale, si inoltra.

Form, è una poesia importante, una dichiarazione di poetica, in cui Hall riflette sul valore e sul senso della Forma per l’artista: non una limitazione o una costrizione, ma la via aurea verso la libertà creativa.

Francesca Diano

 

 

 

Agghiacciante  silenzio

 

non è la notte

ma l’assenza di luce

 

non è l’ardore opprimente del deserto

ma la pioggia che manca di cadere

 

non è l’uomo che perde umanità

togliendo, negando umanità al proprio simile, ma

l’uomo che manca di trovare la propria umanità

lottando per ridare, per cedere di nuovo

l’umanità vista, presa, sottratta al proprio simile

 

non è il clamore stridente né le caustiche voci

dei malvagi, ma il silenzio agghiacciante

di quelli che dichiarano d’essere brava gente[1]

 

non è la notte,

ma l’assenza di luce

che ci tiene allo scuro

 

e in quell’oscurità non dobbiamo ricordare

le parole dei nostri nemici, ma

il silenzio dei nostri amici.[2]

 

 *

 Appalling Silence

 

it is not the night,
but the absence of light

it’s not the sweltering fervour of the desert
but the rainfall that fails to fall

it is not humanity that loses its humanity
taking, denying humanity from its fellow man, but
humanity that fails to find its humanity
fighting back to give back to grant back
humanity seen, taken, denied its fellow man

it is not the strident clamor nor the vitriolic voices
of the bad people, but the appalling silence
of those who claim to be the good people [1]

 

it is not the night,

but the absence of light

that keeps us in the dark

and in that darkness we must remember not
the words of our enemies, but
the silence of our friends [2]

 

 

[1] Martin Luther King

[2] ibid

 

 

 

Il peso del “soltanto un nero”

 

Non è il peso del nero

ma l’immensità dell’esser reso

tale… soltanto un nero ogni volta

che un bianco mi ha di fronte.

 

È il peso della derivazione bianca del nero;

definizione derivativa del “soltanto un nero” in parte derivata

dalla condizione sociale creata in buona parte dai bianchi

 

il logorio continuo di un’immagine errata, inaccurata

che favorisce una descrizione distorta, preconcetta di

una distinzione malevola della natura nera,

dell’immagine nera, del suono nero, la portata di derivati

neri del nero derivato che mi ricostituiscono

grazie alla società dei bianchi come “soltanto un nero”

 

è l’immensità del sospetto immediato solo al vedermi

attraverso i mari azzurrini di pupille ristrette

che stringono i loro timori circolari come una

corda d’impiccato attorno al mio collo nero;

 

è il peso del torcersi e tendersi dei muscoli e dei tendini

bianchi voli sospesi di paura, pronti a chiamare la polizia

militarizzata che serve e protegge i bianchi nelle zone protette e senza neri

 

è la densità appesantita dal tono bianco

quando parlando a un bianco poi ti rivolgi… soltanto a un nero;

è lo storcere un naso autorizzato, narici dilatate,

lo sguardo torvo di una visione limitata

attraverso palpebre diffidenti strette a fessura

 

è il peso smisurato dell’odio

quando afferravano le loro borse Gucci

solo al vedermi

o bloccavano le portiere dell’auto,

solo al vedermi

o richiamavano i figli che giocavano nelle corsie dei grandi magazzini,

solo al vedermi

la gravità del tono familiare nel riferirsi a me, nel darmi un altro nome,

tu che vuoi, solo al posarmi gli occhi addosso

 

è la demenza della ‘N’ nel nero di negro

nero subumano, il semaforo verde al nero

di sparare alle spalle ai neri, celandolo, recintando

le vittime del nero sulla scena del crimine

con alibi plausibili e negabilità;

nascondendo ombre di nero discese fra linee che dividono, separano

la società bianca dal soltanto un nero, soppesato soltanto per il suo essere nero;

un derivato di me che deriva dal ricostituirmi

come “soltanto un nero”.

 

 

Weight of Just Black

it’s not the weight of black
but the immensity of being made
to be… just black every time
white confronts me.
It’s the weight of white’s derivation of black;
a derivative definition of ‘just black’ derived in part
by the social conditions created in large part by whites
it’s the stress and strain of an inexact, inaccurate depictions
to foster an ill-­conceived, preconceived description of
an ill-­meaning distinction of black nature,
black imagery, black sound, the scope of black –
derivatives of black derived reconstituting me
by white society to be ‘just black’

it is the immensity of immediate suspicion the first sight of me
through aqua blue seas of constricting pupils
narrowing their circular misgivings like a
hang man’s rope hung about my black neck;
it’s the weight of torque and tension in muscles and tendons
poised white flight or fright, postured to telephone militarized
police who serve and protect white in red lined, black free zones
it is the weighted density in white tone
when switching from speaking to a white to… just a black;
it’s the lift of an entitled nose, flaring of nostrils,
a glaring view through a narrowed view
through slits in mistrusting eyelids
it’s the enormous weight of hate
when they clutched their Gucci hand bags
the first sight of me
the locking of the car doors,
the first sight of me
the collecting of the brood frolicking in aisles of department stores,
the first sight of me
the gravity of familiarity referring to me, renaming me
what’s up, my man the first they lay eyes on me
it is the insanity of  ‘N’ in nigger black
sub-­human black, green light black to
shoot blacks in the back, concealing it, tracing
the slain outlines of black in crime scene tape of

plausible alibis and deniability;
concealing fallen shadows of black in lines that divide, sever
white society from just black, weighted to be just black;
a derivative of me derived reconstituting me
to be ‘just black’.

*

Dottor Negro

 

Dottor Negro

 

Mi puoi curare senza

toccarmi con le tue mani negre?

 

Puoi salvarmi la vita

senza cambiarmi la vita?

 

Puoi ballare il tip-tap

canticchiando quelle ariette negre

quando la mia vita bianca ha il Codice Blu?[3]

 

Puoi cercare dentro te stesso

dietro la merda che ti abbiamo messo dentro…

oltre i momenti di dolore che ti abbiamo messo dentro…

oltre la disperazione e lo sconforto

che ti abbiamo messo dentro e

trovare in te quell’antica magia nera

per salvarmi la vita senza cambiare

tutta la merda che ti abbiamo messo dentro?

 

Dottor Negro

 

Puoi insufflarmi dentro

dell’aria libera dal negrume

che viene da un negro non libero

di inalare liberamente l’aria?

 

Puoi rimanere dalla parte di colore

della separazione fra colori dimenticando le tue pene

senza toccarmi con quelle mani da negro

per far ripartire il mio cuore blu senza

cambiare il mio gelido cuore?

 

Puoi dimenticarti della vita

che ti abbiamo rubato e

salvare la mia senza che

la mia vita bianca scorra via?

 

Puoi, Dottor Negro

essere più grande, solo per un minuto,

di quella vita[4], per più di un solo minuto

per salvarmi la vita

senza prendermela?

 

Puoi curarmi senza

toccarmi

con quelle mani da negro?

 

Puoi

ballare il tip-tap

mentre

canti quelle ariette negre

mentre

mi salvi la vita

senza cambiarmi la vita

quando la mia vita bianca ha il Codice Blu?

 

 

 

Dr  Nigger

 

Dr. Nigger

 

Can you cure me without

touching me with nigga hands

 

Can you save my life

without changing my life

 

Can you dance soft-shoe while

humming those negro tunes

when my white life codes blue

 

Can you reach inside yourself

beyond the shit we put in you…

past painful moments we put in you…

past despair and hopelessness

we’ve put in you and

find that old black magic in you

to save my life without changing

all the shit we put in you.

 

Dr. Nigger

 

Can you breathe in me

air free of nigga

from a nigger not free

to breathe in free air

 

Can you stay on the colored side

of the color line and reach across your woes

without touching me with those nigga hands

to restart my blue heart without

changing my cold heart

 

Can you reach past the life

we’ve taken from you and

save my life without letting

the white life pass me by

 

Can you, Dr. Nigger

be bigger for just one minute

in it, for more than just one minute

to save my life

without taking my life

 

Can you cure me without

touching me

with those nigga hands

 

Can you

dance soft-shoe

while

humming negro tunes

while

you save my life

without changing my life

when my white life codes blue

 

 *

 

Il mio nome

 

Ho giurato fedeltà a una bandiera issata

semiafflosciata e alla Repubblica che non rappresenta

una nazione… indivisibile… con libertà e giustizia per tutti.[5]

 

Ho recitato la preghiera del tuo signore, al tuo dio,

fatto a tua immagine… perché mi liberi dai tuoi mali,

ma sia benedetto il suo nome, nessuna volontà sia fatta per le preghiere nere[6]

sulla sua terra né così nel suo cielo munito di porte.

 

Io ti ho dato la mia anima, lasciami il  mio nome.[7]

 

Dopo tutte le tribolazioni, le angosce, le paure

sofferte per otto lustri e diciassette anni;[8]

il mio sangue, le lacrime, il sudore versati

in ogni valle in cui mi hai abbandonato,

ho cantato … My country tis of thee[9]

quando mi hai detto di cantare

 

ho salutato, all’ultimo raggio del crepuscolo,

le tue larghe strisce e stelle brillanti

che sventolavano sulla terra che hai dichiarato libera e

patria dei prodi ma non prodi a tal punto

da lasciare che ogni uomo fosse libero.[10]

 

Io ti ho dato la mia anima, lasciami il mio nome.

 

Ti ho creduto quando affermavi che Colombo,

con la certa perizia di gran navigatore

salpò verso ovest per trovare l’India che sta a est e

scoprì un continente che non s’era perso né teneva ad essere scoperto;

abitato da uomini che non s’erano persi né tenevano ad essere scoperti

e diede loro un nuovo nome, diverso dal loro nome.

 

Io ti ho dato la mia anima, lasciami il mio nome.

 

Perché se la libertà viene a chiamare e non ho un nome

da poter chiamare, come potrò essere liberato. Lasciami il mio nome.

 

Ti ho creduto quando hai dichiarato

che Jefferson affermava con tenerezza amorevole

d’averla stuprata[11] – stupro di schiave, stupro di piantagioni,

stupro socioeconomico – lei consenziente.

 

Ho creduto alla tua bugia che Washington mai disse una bugia;

che si trattasse d’una guerra civile combattuta da uomini civili

per liberare schiavi incivili che Lincoln, senza tensioni, presiedeva

in modo “che questa nazione possa affermare ancora una seconda nascita di libertà;

un secondo nuovo diritto di essere una nazione concepita nella Libertà, e

votata al principio che tutti gli uomini sono creati uguali.”[12]

 

Per questo proposito e per queste parole rimasti ancora incompiuti e abbandonati

ti ho dato la mia anima, lasciami il mio nome.

 

Perché quando la libertà verrà a chiamare e io non ho un nome

da poter chiamare, come potrò essere liberato.

Io ti ho dato la mia anima, lasciami il mio nome.

 

*

 

My Name

 

I have pledged allegiance to a fully masted,

half flaccid flag and to the Republic which stands not,

one nation…indivisible…with liberty and justice for all.

 

I have prayed your lord’s prayer, to your god,

made in your image… to deliver me from your evils,

but hollow be his name, no will for black prayers to be done

on his earth nor as it is in his gated heaven.

 

I have given you my soul, leave me my name.

 

After all my toils, frets and fears suffered

two scores and seventeen years;

(all) my blood, sweat and tears poured

Into every valley you’ve forsaken me in,

I’ve sung… My country tis of thee…

when you said sing

 

I have, at your twilight’s last gleaming,

hailed your broad stripes and bright stars

waving over land you’ve proclaimed to be free and

home of the brave not yet brave enough

to let all men be free.

 

I have given you my soul, leave me my name.

 

I believed your claim that Columbus,

with certain navigational precision

sailed west to find India sitting in the east and

discovered a continent not lost not looking to be found;

inhabited by men not lost not looking to be found and

he renamed them a new name, other than their own name.

 

I have given you my soul, leave me my name.

 

Cause if freedom come a calling and I have no name

To be called, how will I be freed. Leave me my name.

 

I believed you when you proclaimed,

Jefferson professed with loving tenderness

that ‘her’ rape – slave rape, plantation rape,

socioeconomic rape – was consensual.

 

I have believed your lie that Washington never told a lie:

that it was a civil war fought by civil men

to free uncivilized slaves that Lincoln, without fraught, presided over

so “that this nation, could claim yet a second new birth of freedom:

a second new claim to be a new nation, conceived in Liberty, and

dedicated to the proposition that all men are created equal.”

 

To these yet unfinished and abandoned words and work,

I have given you my soul, leave me my name.

 

Cause when freedom comes a calling and I have no name

to be called, how will I be freed.

I have given you my soul, leave me my name.

 

 

 

Verniciatura[13]

 

Perfezione artificiosa,

sparsa superficialmente con uniformità su irregolarità di superficie,

a nascondere imperfezioni emerse dall’interno;

manifestazioni visibili di intimi timori del timore, e

bugie coreografate attorno a cui danziamo

per far girare la verità.

 

Una banconota malamente contraffatta

da cento dollari, ben tesa

per avvolgere un rotolo di biglietti da uno

 

falsi sorrisi amichevoli

che laminano la superficie del nostro odio

 

una calza di satin liscio e setoso

che tessiamo a coprire i piedi ruvidi

su cui andiamo danzando in giro la verità.

 

Verniciatura

 

questo laminato,

questa immacolata concezione concepita per resistere all’inferno

la fabbrichiamo per indossarla, per coprire le nostre tracce le nostre code

per coprire i furti che compiamo,

quando uccidiamo,

quando rendiamo falsa testimonianza nel buio

abisso sotto la superficie di quegli

strati di laminato ben poco aderenti:

non rubare,

non uccidere,

non dire falsa testimonianza.

 

Verniciatura

 

una tenda Marquise a mascherare maschere di pulizia e rinascita,

facciate che altro non sono se non

una maggior piacevole apparenza,

non più che un più attraente materiale di superficie

di bugie superficiali dal sottile rivestimento, che rivestono appena

chi veramente siamo e che s’annida sotto le menzogne

della purga e della rinascita dell’anima.

 

Verniciatura

 

questo intarsio di due, a ricoprire uno, sopra inserito

per dividere l’uno in due metà

che mai furono intese: un tu, un me,

un giusto, uno sbagliato, un nero, un bianco,

luce nera sintetizzata che emette

composti fluorescenti di oscurità artefatta,

a proiettare ombre ottenebrate

sotto cui nascondiamo i mali della nostra superficie.

 

Riverniciati

 

Noi siamo, manichini fabbricati,

modelli la cui superficie è una natura morta, abbigliati

con abiti monogrammati da vetrina,

facciate sotto cui sanguiniamo per negazioni di sangue,

avvolti in strati diafani di false verità

con cui celiamo la nostra vera essenza per apparire

più amorevoli nel nostro falso amore,

più tolleranti nella nostra tolleranza sintetica

più umani nella nostra umanità inumana

come appariamo falsamente essere

per mascherare quello che siamo diventati…

 

una banconota malamente contraffatta

da cento dollari, ben tesa

per avvolgere un rotolo di biglietti da uno

 

falsi sorrisi amichevoli

che laminano la superficie del nostro odio

 

una calza di satin liscio e setoso

che tessiamo a coprire i piedi ruvidi

su cui andiamo danzando in giro la verità…

 

 

Veneer

 

Articial perfection,

evenly spread superficially across surface irregularities,

concealing surfaced inner imperfections;

outward manifestations of inner fears of fear, and

choreographed lies we dance around

to spin around the truth.

 

An ill-fitted counterfeit

hundred dollars bill, stretched

to fit over a folded wad of ones

 

a forged friendly smile

laminated the surface of our hate

 

a smooth silky satin sock

we weave to cover rough feet

we dance around the truth upon.

 

Veneer

 

this laminate

this conceived hell-resistant immaculate conception

we fabricate to wear, to cover our trail to cover our tails

to cover when we steal,

when we kill,

when we bear false witness in the dark

abyss beneath the surface of those

loosely adherent layered laminates;

thou shalt not steal,

thou shalt not kill,

thou shalt not bear false witness.

 

Veneer

 

Marquise masquerading masks of cleansing and rebirth,

facades that are no more than

a more pleasing appearance,

no more than a more desirable surface material

of skim coat surface lies, thinly coating

who we really are lurking beneath the lies

of soul cleansing and rebirth

 

Veneer

 

this inlay of two, overlying one, added on top

to divide the one into two halves one

was never meant to be: a you, a me

a wrong, a right, a black, a white,

synthesized black light emitting

florescent composites of manufactured darkness,

casting unenlightened shadows

we hide our surface woes beneath.

 

Veneer’d

 

we are, manufactured mannequins,

still life surface paragons, dressed up

in monogrammed windows dressings,

facades beneath which we bleed sanguineous denials,

shrouded in diaphanous layers of artificial truths

we cover our true selves in to appear

more loving in our false love,

more tolerant in our synthetic tolerance

more human in our inhuman inhumanity

we falsely appear to be,

to cover over what we have become…

 

An ill-fitted counterfeit

hundred dollars bill, stretched

to fit over a folded wad of ones

 

a forged friendly smile

laminated the surface of our hate

 

a smooth silky satin sock

we weave to cover rough feet

we dance around the truth upon.

 

*

 

Gli occhi di Van Gogh

 

Occhi intelati

che osservano passare teste dipinte

fermando lo sguardo d’un istante sulla palette dei miei mali,

dipinta di blu intenso, con pennellate d’indaco Van Gogh

rifiutando di lasciare la presa su quest’anima sgomenta

 

occhi intelati

che osservano la loro visione di visioni in fila ferme colorate

passare l’una dopo l’altra

in cornici inclinate, che incorniciano teste inclinate

appese a pareti inclinate che non vedono ancora

il paesaggio tappezzato di teli cui sono appesi fiori vizzi,

esposti in corridoi di porte chiuse e menti di

campi d’ambra in lutto che una rabbia grigia ha incendiato

in un turbinio violento ed offuscante di tinte che rifiutano

di cambiare la loro visione del colore di volti tinti logori

appesi al ritratto della pena, appesi a muri vuoti

per guardare passanti dipinti, che lì passano, si fermano

rifiutando ancora di vedere, negli occhi intelati, esposta

una testa priva di cornice, un muro senza nome,

questi occhi scrutatori di Van Gogh.

 

 

Van Gogh Eyes

 

Canvassed eyes

watching passing portrait’d heads

pausing their moment’s view the palette of my ills,

painted a deep blue, brushed a Van Gogh indigo

refusing to let go its hold this dismayed soul.

 

Canvassed eyes

watching their view of queued, paused colored views

passing one after the other

in tilted frames framing tilted heads

hung from tilted walls, not seeing still the

littered linen landscape wilted flowers are hung,

put to gallery in corridors of close doors and minds of

mourning fields of amber gray rage set ablaze

to swirl a violent haze of hues refusing to

change their colored views of hue’d weathered faces

hung in portrait pain, hung on empty walls

to watch portrait’d passers, passing by, pausing

refusing to see still, in canvassed eyes, hung

a frameless head, a nameless wall,

these Van Gogh eyes watching.

 

*

 

Forma

 

è questa crisalide –

questo crogiuolo che mette

ali alle farfalle per volare

 

questa cisterna di fiumi

che schiude mari

 

la pula da cui le granaglie

macinate vengono liberate

 

questa cista da cui l’eternità si solleva

 

la forma è disciplina,

il crogiuolo attraverso cui

perdiamo la costrizione della forma

 

la forma è la via che apre i mari

la via d’uscita dalla crisalide

 

è la disciplina della forma

quella foggia di bocca

che libera le labbra per baciare

oltre la foggia di labbra e bocca

 

è il latte del seno

non il seno materno

che ci nutre, ci forma, ci rende liberi

dal seno materno

 

la forma è la via d’uscita dalla forma,

la ferrovia sotterranea

non la destinazione che libera

l’artista dai binari della via

 

forma è percorso verso il non formato,

l’essenza dell’essere; il crogiuolo che mette

ali alle farfalle per volare

in mare aperto

 

Form

it is this chrysalis –

this crucible that sets

wings to butterflies to fly

this cistern of rivers

that opens seas

the chaff from which ground

grist of grain are freed

this cist, eternity lifts itself out of

form is the discipline,

the crucible through which

we lose the constraints of form

form is the way to open seas,

the way out the chrysalis

it is the discipline of form,

that shape of mouth

that frees the lips to kiss

beyond the shape of lips and mouth

it is the breast milk

not the mother’s breast

that feeds us, forms us, frees us from

the mother’s breast

form is the way out of form,

it is the underground railroad

not the destination freeing the

artist from the rails of the road

form is the path to formlessness,

the gist of being; the crucible that sets

wings to butterflies to fly

through opens seas

 

*

 

In cima alla montagna

 

Sono stato in cima alla montagna

dove m’hanno mandato

quando m’hanno chiesto di non chiedere

quello che il mio paese poteva fare per me,

ma quello che potevo fare per il mio paese[14]

mentre il mio paese faceva  me.

 

Sono stato in cima alla montagna,

lì non c’è niente tranne uno strapiombo.

 

Dai colli del New Hampshire

dalle vette potenti di New York

agli Allegheny della Pennsylvania

 

dalle cime innevate delle Rocky Mountains

ai pendii della California[15]

 

non ci sono regni… non sogni

né terra promessa

né mani accoglienti

né terre di pari opportunità

né dei “pagherò” a garantire la libertà

 

non c’è libertà che risuona

né un noi in “Noi il Popolo.”[16]

I miei occhi non vedono niente

tranne dei negri antiquati attaccati

a un incubo che si spaccia per sogno.

 

Non puoi liberare nessuno se la tua mente non

è libera di capire che il loro canto non canta:

Paese [ nostro] è di te,

dolce terra della libertà che canto.

Terra dove i [nostri] padri sono morti

Terra dove dalla cima di ogni montagna,

dicono,

lascia che la libertà risuoni.[17]

 

Sono stato in cima a quella montagna,

lì non c’è niente tranne uno strapiombo.

 

 

Mountaintop

been to the mountaintop

where they had me
when they asked me to ask not
what my country could do for me
rather, what I could do for my country 1

whilst my country was doing me.
I’ve been to the mountaintop,
Ain’t nothing there but  a straight drop
From the hilltops of New Hampshire
from the mighty mountains of New York
to the Alleghenies of Pennsylvania,
from the snowcapped Rockies
to the slopes of California2,
there ain’t no kings . . . no dreams
no promised land
no embracing hands
no lands of equal opportunity
no promissory note guaranteeing liberty
ain’t no freedom’s ring,
no we in We The People.
My eyes can’t see anything
but dated niggers clinging
to a nightmare posing as their dream
You can’t free nobody if your mind ain’t
free to see that their song won’t sing,
[our] county tis of thee,
sweet land of liberty
Land where [our] fathers died
Land where from every mountaintop,
they say,
let freedom ring3.
I’ve been to that mountaintop,
ain’t nothing there but a straight drop.

 

  1. John F. Kennedy’s Inaugural Address, Jan 20, 1961
    2. I Have a Dream Speech, Martin Luther King, Aug 28, 1963
    3. America, My Country Tis of Thee – S.F. Smith,1831

 

 *

 

Doniamo

 

La Guerra non ci toglie I nostri e figlie

Siamo noi a regalare i nostri figli e figlie

Ai signori della guerra che fanno la guerra per essere signori

E padroni sacrificando i nostri figli e figlie

 

Magnati, signori della guerra avvolti in bandiere.

In inni patriottici, in slogan per mettere mitraglie

In mano ai nostri figli e figlie

Per farne martiri e rivenderli a pagare

L’estremo prezzo della vita per un maggiore pezzo di terra

Per i signori della terra.

 

La guerra non ci toglie i nostri figli e figlie

Siamo noi a regalare le perle più preziose

 

Regaliamo i nostri figli e figlie

Ai signori della guerra che fanno la guerra per essere signori

E magnati vestendo i nostri bambini e le nostre  bambine

In uniformi da guerrieri che marciano uniformemente al suono di:

 

“Lo difenderemo”

“arruolatevi” insieme a

“potere di fuoco potere del paese” e per questa causa

“Non c’è missione troppo difficile,

nessun sacrificio è troppo grande, prima il dovere”

questo che i vostri figli e figlie difenderanno

 

La Guerra non ci toglie i nostri e figlie

Siamo noi a regalare i nostri figli e figlie

 

Li regaliamo

Ad inni nazionali orchestrati dai magnati,

a bandiere issate dai signori della guerra

a slogan scritti da torme dei loro reclutatori

predatori che reclutano i nostri bambini e le nostre bambine

per la grossa idiozia che tutti potete essere guerrieri

 

i nostri figli e le nostre figlie

non è la guerra a sottrarceli

siamo noi a regalarli

a bandiere e slogan e a inni nazionali

che mettono in mano le mitragliatrici

ai nostri figli e alle nostre figlie per della terra

 

*******

 

[1] Martin Luther King. “Potrà succedere che noi di questa generazione dovremo pentirci. Non solo per le parole caustiche e le azioni violente dei malvagi, ma per il silenzio agghiacciante e l’indifferenza delle brave persone che se ne stanno sedute e dicono: aspetta il momento giusto”. Martin Luther King Jr.A Testament of Hope: The Essential Writings and Speeches
[2] Ibidem
[3] Codice di massima emergenza al Pronto Soccorso. (N.d.T.)
[4] Nel testo si fa riferimento implicito al modo di dire inglese bigger than life, cioè straordinario, eccezionale. (N.d.T.)
[5] Adattamento del Giuramento di Fedeltà (Pledge of Allegiance) di Francis Bellamy (1855 – 1931) redatto nell’agosto del 1892. « Giuro fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d’America, e alla Repubblica che essa rappresenta: una Nazione al cospetto di Dio, indivisibile, con libertà e giustizia per tutti. » (N.d.T.)
[6] Adattamento dal Padre Nostro (Matteo 6: 9-13)
[7] Frase pronunciata da John Proctor, interpretato da Daniel Day Louis nel film Il crogiuolo, del 1996, tratto dal testo teatrale di Arthur Miller (N.d.T.)
[8] Adattamento del testo del Gettysburg Address, Il Discorso di Gettysburg, pronunciato da Abraham Lincoln nel 1863. Lincoln dice: “sedici lustri e sette anni orsono”, riferendosi alla Rivoluzione americana del 1776. (N.d.T)
[9] Inno patriottico scritto nel 1831 da Samuel Francis Smith sulle note dell’inno nazionale britannico
[10] Adattamento dell’inno nazionale americano
[11] Hall si riferisce al rapporto di Jefferson con la sua schiava Sally Hemings, da cui ebbe sei figli e cui non diede  comunque mai la libertà. Oggi negli USA si tende a vedere quel rapporto come una forma di stupro legalizzato. (N.d.T.)
[12] Ancora un adattamento del Discorso di Gettysburg. (N.d.T.)
[13] Ho scelto di tradurre l’inglese Veneer, letteralmente “impiallacciatura, vernice, fig. apparenza superficiale”, con “verniciatura” nel senso di patina fittizia stesa sopra a nascondere le pecche. (N.d.T.)
[14] Citazione dal discorso di insediamento di John Kennedy, 20/01/1961
[15] Citazioni dal famoso discorso di Martin Luther King, I have a dream, del 28/08/1963 a Washington.(N.d.T.)
[16]We The People” è il preambolo della Costituzione degli Stati Uniti. (N.d.T.)
[17] My Country, ‘Tis of Thee, canto patriottico di Samuel Francis Smith, 1831

 

(C)2016 Neal Hall e Francesca Diano RIPRODUZIONE RISERVATA

4 commenti (+aggiungi il tuo?)

  1. Serena Piccoli
    Apr 25, 2016 @ 17:45:10

    Grazie per averlo invitato a Padova e farcelo conoscere e per queste traduzioni. Buon lavoro con l’antologia!

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  2. Francesca
    Apr 25, 2016 @ 17:49:55

    Grazie mille a lei. E’ stata una grande esperienza per tutti.

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  3. ubaldo de robertis
    Apr 30, 2016 @ 07:42:50

    Ora, con la lettura di più testi, ho molti più elementi per riaffermare che la poesia di Neal Hall  è potente e terribile! Lo avevo scritto il 22 marzo su questo stesso blog dopo aver letto; Verniciatura. Neal Hall  appartiene alla specie nera e a noi che abbiamo un colore di pelle diverso dal suo, ricorda un nostro comportamento molto diffuso, del quale spesso non ce ne rendiamo nemmeno più conto, e ci costringe a chiederci cosa porta un uomo, un’aggregazione di uomini, una intera nazione, interi continenti ad essere, anche inconsciamente, xenofobi.
    “Dottor Negro
    Puoi insufflarmi dentro
    dell’aria libera dal negrume
    che viene da un negro non libero
    di inalare liberamente l’aria?”

    Il poeta affronta con versi crudi e taglienti argomenti quali il rifiuto e il rigetto del diverso, non risparmia strali a chi ha l’abitudine di discriminare e di estraniare altri esseri umani.
    Ne deriva un ritratto impietoso della società retta dalla specie bianca che ci fa tornare in mente l’origine di questi “mali”: il traffico di schiavi, il colonialismo,l’apartheid.
    Quella di Neal Hall è una poesia “che dilania, perché dice il vero, – afferma Francesca Diano, incomparabile traduttrice che sa leggere nell’animo del poeta, e completa il discorso – perché così è ed è stato in ogni tempo e in ogni luogo, perché l’esperienza devastante di privare l’uomo della propria umanità o di non riconoscersela dentro. o di vedersela negata e sottratta è una atroce condizione dell’uomo.”
    Un bravo all’autore e all’amica Francesca Diano.
    Ubaldo de Robertis

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  4. Francesca
    Apr 30, 2016 @ 13:52:03

    Grazie Ubaldo, giustamente usi la parola “terribile”. Una delle esperienze più intense è poter ascoltare la voce di Hall che legge le sue poesie. Una voce bellissima, forte, cantante. Da noi non esistono poeti in grado di perforare con tanta forza la coscienza dell’ascoltatore e parlando inoltre di temi civili, di mali universali. I suoi reading sono davvero eventi. Ma è anche incredibile come abbia dedicato ormai la sua vita alla poesia, girando il mondo e parlando direttamente all’uomo, perché ritrovi in sé l’umanità che molti hanno perduto. Lui dice: “La mia poesia sono io e io sono la mia poesia”
    Sì, siamo stati molto fortunati a poterlo ascoltare.

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