IL CORVO di Edgar Allan Poe, tradotto da Francesca Diano

The Raven. Gustave Doré

Oltre ad essere quello scrittore di incredibile ingegno e genio, uno dei maggiori sperimentatori, dei maggiori rivoluzionari della letteratura di tutti i tempi, Poe  è  – come già dal suo nome in certo senso preannunciato – uno dei maggiori poeti americani e non solo americani. Un poeta che ha percorso vie ancora ignote, che lui stesso s’è tracciato, scrivendone nei suoi saggi, The Rationale of Verse, The Philosophy of Composition ( saggio in cui Poe analizza in modo puntuale la composizione di The Raven e la tecnica e teoria della composizione letteraria)  e The Poetic Principle.

Poe ha condotto ai suoi confini estremi l’idea, in realtà molto antica, che la poesia sia inscindibile dalla musica, stabilendo che sia musica essa stessa. La poesia è musica e il suo significato è  quella stessa musica.

La via nuova, la grande rivoluzione poetica che Poe operò nella poesia, non fu battuta dai suoi contemporanei americani, ma arrivò come un tuono all’anima di Baudelaire, suo primo e grandissimo traduttore, che fu preso da un amore totale e assoluto per questo genio infelice e tradito dai suoi contemporanei.  Cosa poi questo significò per Baudelaire e quale seguito ebbe nella scuola dei Decadenti francesi ed europei è noto. Rimando alla lettura del meraviglioso saggio che Baudelaire scrisse su Poe. Quel saggio famosissimo. scritto nel 1852, che così inizia:

“Di recente, fu tradotto dinanzi ai nostri tribunali un infelice la cui fronte era illustrata da un raro e singolare tatuaggio: Sfortuna! Egli portava così al di sopra dei suoi occhi l’etichetta della propria vita come un libro porta il suo titolo, e l’interrogatorio provò che quella bizzarra scritta era crudelmente veritiera. Nella storia letteraria ci sono destini analoghi, dannazioni, dannazioni di uomini che portano la parola scalogna scritta in caratteri misteriosi nelle pieghe sinuose della loro fronte. L’Angelo cieco dell’espiazione si è impadronito di loro, e li sferza senza pietà, a edificazione degli altri. Invano la loro vita mette in mostra talenti, virtù, grazia: ad essi la Società riserva uno speciale anatema, e li accusa delle menomazioni che la sua persecuzione ha provocato loro. Cosa mai non fece Hoffmann per disarmare il destino, e cosa non intraprese Balzac per scongiurare la sorte? Esiste dunque una Provvidenza diabolica che prepara la sventura sin dalla culla, che getta in modo premeditato nature spirituali e angeliche in ambienti ostili, come i martiri nei circhi? Ci sono dunque anime consacrate, votate all’altare, condannate a marciare verso la morte e verso la gloria attraverso le loro proprie rovine? L’incubo di Ténèbres assedierà eternamente queste anime elette? Invano si dibattono, invano si conformano al mondo, alle sue previdenze, alle sue astuzie; perfezioneranno la prudenza, tapperanno ogni uscita, imbottiranno le finestre contro i proiettili del caso; ma il Diavolo entrerà dalla serratura; una perfezione sarà il difetto della loro corazza, e una qualità superlativa il germe della loro dannazione.”

 

Questa ricerca ossessiva e maniacale del valore musicale della parola, che in realtà è presente anche nella sua prosa, rende difficilissima e in alcuni casi impossibile, la traduzione (una traduzione degna di questo nome) delle poesie di Edgarpoe (come lo chiamano i suoi innamorati, me compresa).

Penso ad esempio a The Bells, Le campane, il cui effetto è tutto giocato sulla riproduzione del suono delle campane a festa, a morto, ad allarme. Un testo poetico che è una partitura musicale, un pezzo di jazz, un fuoco d’artificio di effetti sorprendenti, mai uditi, che ti scagliano sulle montagne russe più estreme e che fanno tremare i polsi.

Tradurre la poesia di Poe dunque, è davvero un’impresa. Ma io amo le imprese e già molti anni fa mi venne voglia di misurarmi con la bellezza siderea, soprannaturale dei suoi versi.

In italiano ci sono varie traduzioni delle poesie di Poe, ma nessuno dei suoi traduttori  più illustri ha mai nemmeno provato a mantenere il ritmo musicale dei suoi versi. Dove non siano traduzioni in prosa, la fedeltà al testo originale si perde.

In seguito, al noto editore con cui allora collaboravo, quelle mie traduzioni piacquero moltissimo  mi propose di pubblicarle. Il fatto è che il contratto che proponeva era un semplice contratto di quelli con cui si torce il collo ai traduttori letterari in Italia: a cartella e una tantum! Dato che il numero di cartelle tra l’altro sarebbe stato esiguo e il mio lavoro un lavoro non certo di semplice traduzione, ma un’opera poetica, io proposi un normale e giusto (e dignitoso) contratto a royalties. All’editore  la cosa non andò e non se ne fece nulla.

NOTA

Nella mia  traduzione ho mantenuto la massima fedeltà al testo originale e ho cercato di riprodurre il ritmo musicale più simile possibile a quello del poemetto originale. Un ritmo ondulante, ipnotico, sovrannaturale, quasi da incantatore di serpenti. Ho mantenuto perciò, per quanto possibile, l’uso del doppio ottonario e del settenario della metrica originale.

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*****************

Il CORVO (1845) 

Edgar Allan Poe

Traduzione di Francesca Diano

*

Una tetra mezzanotte, meditando, fiacco e stanco

Sopra tomi antichi e strani di perdute conoscenze,

Con il capo tentennante, quasi mezzo addormentato,

Ecco a un tratto un lieve battito, come chi grattasse piano

Come chi grattasse piano alla porta della stanza.

<<Non è che un visitatore>>, mormorai, <<Che batte piano

alla porta della stanza –

Questo solo, e nulla più.>>

*

Ah, ricordo chiaramente ch’era un tristo assai dicembre,

E ogni brace moribonda proiettava il proprio spettro.

Agognavo all’indomani: – vanamente avea cercato

Di trovare nei miei libri qualche tregua alla mia pena –

Pena per Leonore perduta –

Per la rara e risplendente giovinetta a cui hanno dato

Nome gli angeli  Leonore –

Che qui un nome avrà mai più.

*

Ed il serico frusciare, così incerto delle tende

Rosse mi facea tremare – mi colmava

di fantastici terrori sempre prima sconosciuti.

Così ora, per tacere il pulsare del mio cuore, ritto in piedi ripetevo

<<Non è che un visitatore che mi supplica d’entrare dalla porta della stanza; –

Qualche ospite in ritardo che mi supplica d’entrare;

Questo solo e nulla più.>>

*

E d’un tratto ebbi coraggio; cancellai l’esitazione,

<<Oh signore>>, dissi, <<o Dama, perdonatemi, v’imploro;

Ma di fatto ero assopito e così lieve bussaste

E così sommessamente voi bussaste alla mia porta,

Che mi parve appena udire>> – e qui spalancai la porta; –

Solo buio e nulla più.

*

Scrutai a lungo nella tenebra, ritto, incerto, spaventato,

Dubitante e poi sognando sogni che prima mortale

osò mai nemmen sognare.

Ma il silenzio era profondo e la tenebra spietata

Ed un’unica parola – bisbigliata – fu <<Leonore!>>

Questo era il mio sussurro ed un’eco mormorante

mi rispose, <<Leonore!>>

Solo questo e nulla più.

*

Ritornando nella stanza, la mia anima un incendio,

Presto ancora udii bussare con più forza del passato.

<<Di sicuro>> dissi, <<certo è qualcosa alla finestra:

Su vediamo cos’è mai; ch’io disveli quel mistero –

Che il mio cuore un po’ si calmi e che io sveli il mistero; –

Solo il vento e nulla più!>>

*

E l’imposta spalancai quando, un frullo e un batter d’ali,

Entrò un Corvo maestoso, di remoti giorni sacri.

Non mi fece riverenze; né un istante stette fermo,

Ma s’andò a posare sopra l’architrave della porta

come un nobile signore o milady, appollaiato

sopra il busto di Minerva che sovrasta la mia porta.

Fermo, immoto e nulla più.

*

Poi l’uccello nero ebano fece sì che in un sorriso

Io sciogliessi le atre angosce, col decoro grave e nobile

del severo atteggiamento.

<<Pur se il ciuffo hai tu rasato, di sicuro tu sei fiero>>, dissi,

<<corvo torvo, orrido e antico che veleggi dalle plaghe

della Notte – dimmi quale nome nobile hai tu

sopra il lido plutoniano  ch’è confine della Notte!>>

Disse il Corvo, <<Mai non più.>>

*

Molto mi meravigliai nell’udir quell’uccellaccio favellare tanto chiaro,

Pur se quella sua risposta non aveva senso alcuno

e a sproposito veniva;

Ché chi mai può convenire, che vivente creatura

Mai abbia visto un tale uccello sulla porta di una stanza.

Un uccello o altro animale sopra il busto cesellato sulla porta della stanza.

Il cui nome è <<Mai non più.>>

*

Ma, posato solitario sopra quel busto sereno, solamente disse il Corvo

Sol quell’unica parola, come se vi riversasse

per intero la sua anima.

E null’altro disse ancora – e non piuma scosse o mosse –

Finché appena bisbigliai, <<Altri amici son fuggiti prima d’ora-

E domattina egli pur mi lascerà, come già ogni mia speranza.>>

E l’uccello: <<Mai non più.>>

*

Mi sorprese quel silenzio, rotto solo dalla replica

così a senso pronunciata.

<<Senza dubbio>>, dissi allora, <<quel che dice non è altro

che soltanto dire sa

E l’ha appreso da un padrone incalzato da Sciagura impietosa

Ancora e ancora, tal che un solo  ritornello era quello dei suoi canti –

Che i suoi pianti disperati con quel triste ritornello ebber chiusa

Sempre quello, sempre quello

“Non più mai – mai non più”.>>

*

Ma quel Corvo, trasmutò le mie tristi fantasie

nuovamente in un sorriso

Ed allora trascinai proprio accanto a lui e alla porta

e poi al busto una poltrona:

Poi, affondato nel velluto, presi allora a collegare

Fantasia e fantasticare e mi chiesi che volesse

dire mai quell’uccello antico e infausto –

Cosa mai quel tristo, goffo, spaventoso e infausto uccello –

Dir volesse nel gracchiare  <<Mai non più.>>

*

Ciò, seduto, riflettevo, ma non sillaba volgevo

All’uccello  i cui occhi accesi mi bruciavano nel petto;

Questo ed altro ripensavo, con la testa reclinata

Sul velluto del cuscino che la lampada assetata riguardava avidamente,

Ma il velluto del cuscino viola, che la lampada assetata

riguardava avidamente

Lei non premerà mai più!

*

Poi parve addensarsi l’aria, con profumi ch’esalavano

da invisibile incensiere

Oscillato da alati angeli, i cui passi tintinnando

risonavano sul marmo.

<<Infelice>>, gridai allora. <<è il tuo Dio che li ha mandati –

con questi angeli ti invia un sollievo ed un nepente

al ricordo di Leonore!

Su trangugia quel nepente e dimentica Leonore!>>

Disse il Corvo, <<Mai non più.>>

*

<<Oh Profeta!>> dissi, <<creatura dell’inferno! – ma profeta nondimeno

che sia tu diavolo o uccello! –

Che ti mandi il Tentatore, o tempesta abbia inviato,

Solitario ma indomato in questo deserto incantato –

In codesta mia magione dell’Orrore – dimmi imploro –

Vi è – vi è un balsamo in Gilead? Dimmi, dimmelo, t’imploro!>>

Disse il Corvo, <<Mai non più.>>

*

<<Oh Profeta!>> dissi, <<creatura dell’inferno! – ma profeta nondimeno

che tu sia diavolo o uccello!

Per quel Ciel che ci sovrasta – per quel Dio che entrambi amiamo –

Di’ a quest’animo gravato dal tormento, se nell’Eden

Sì distante stringerò la cara santa a cui  Leonore

nome gli angeli hanno dato –

Stringerò la risplendente giovinetta rara a cui hanno dato

nome  gli angeli Leonore?>>

Disse  il Corvo, <<Mai non più.>>

*

<<Sia un addio questo tuo dire, uccellaccio di sventure!>>

gridai alzandomi all’impiedi –

<<Fa’ ritorno alla tempesta ed al lido plutoniano

della Notte!

Non lasciare piuma nera a ricordo del mentire che hai dianzi pronunciato!

Lascia intatto il mio silenzio! Lascia il busto sulla porta!

Togli il becco dal mio cuore e il tuo corpo dalla porta!

Disse il Corvo, <<Mai non più.>>

*

Ed il Corvo non s’alzò; sempre posa, sempre posa

Sopra il bianco busto pallido di Minerva sulla porta;

E i suoi occhi hanno l’aspetto di un demonio sognatore

E la luce della lampada che lo inonda getta l’ombra

sua di sopra il pavimento;

La mia anima dall’ombra che per terra aleggia immota

non si alzerà – mai più!

  • * § *

(C) copyright 2006 by Francesca Diano

RIPRODUZIONE RISERVATA

18 commenti (+aggiungi il tuo?)

  1. Gianni Modica
    Set 25, 2011 @ 20:17:19

    Certo! E’ un genio che fa vibrare l’anima, il cuore e il corpo! Ma a scuola… chi lo conosce?

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  2. Gianni Modica
    Set 25, 2011 @ 20:36:27

    Certo! E’ un genio che fa vibrare l’anima, il cuore ed il corpo! Ma a scuola… chi lo conosce? Dopo aver pigiato per l’invio appare una scritta con la quale mi si dice che il mio commento è un duplicato… come se io lo avessi scritto una seconda volta; sulla parola di chi come me si sforza per cercare di diventare uomo ogni giorno, affermo che questo commento,tral’altro somatizzato, lo ho formulato e scritto per la prima volta. Se qualche altra persona lo ha inviato prima sono compiaciuto per la sua sensibilità, che ha una risonanza emotiva simile alla mia. Mi piacerebbe scambiare delle opinioni con chi mi ha preceduto…e mi è affine. Grazie, buona vita.

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  3. Francesca
    Set 25, 2011 @ 22:09:15

    Caro Gianni, grazie del commento. Evidentemente senza accorgerti hai inviato il commento due volte, infatti lo vedi tu stesso. In ogni caso posso rassicurarti sul fatto che i miei allievi lo conoscono benissimo, e si sono tutti sentiti leggere The Bells direttamente in inglese, oltre al resto. L’effetto è sempre molto forte. Per capire Poe bisogna prima di tutto togliergli di dosso la fama di “scrittore dell’orrore”, che ancora oggi lo perseguita e poi far capire la vastità del suo sapere, l’eclettismo del suo genio e la rivoluzione che ha operato nella letteratura, così profonda da poter essere considerato il padre del Decadentismo europeo ecc.
    Mi sarebbe piaciuto anche un tuo commento sulla mia traduzione.

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  4. Giordano Boscolo
    Ott 02, 2011 @ 12:44:42

    Quella che segue è tutt’altro che un’analisi puntuale della tua bella traduzione, sono solo alcune osservazioni sparse, fatte da un semplice lettore che non si è mai cimentato con traduzioni dall’originale.
    Premetto che queste mie note si basano soprattutto sulle impressioni ricavate da una lettura a voce alta del testo, sia quello originale che il tuo. Trovo, infatti, che le poesie debbano essere sempre lette a voce alta per essere meglio apprezzate. Non so se sia corretto questo approccio, ma io la poesia la frequento quasi solo in questo modo.

    Mi sono inoltre permesso di fare una comparazione, più che altro per aiutarmi a capire meglio il tuo lavoro, con una traduzione che avevo in casa: quella di Mario Praz, pubblicata nei “Classici della BUR”.

    Innanzitutto, sono assolutamente d’accordo con te quando traduci “nothing more” e “nevermore” con “nulla più” e “mai più”, che trovo non solo più fedele al testo originale, ma mi sembra anche che renda meglio quel senso di fine definitiva che è così forte (e così romantica) nel poemetto di Poe. Non ho mai capito perché Praz abbia indebolito l’originale traducendo con “null’altro ancora” e “mai più, ora”.

    Vedo che Praz, nella 3° strofa, ha tralasciato di tradurre il “never felt before” contenuto nel 2° verso (“thrilled me- filled me with fantastic terrors never felt before”), mentre tu traduci con: “sempre prima sconosciuti”. Non solo lo trovo più corretto, ma accentua la singolarità e la straordinarietà del momento che viene descritto dal poeta.

    Nella 4° strofa, il 3° e 4° verso dell’originale recitano “But the fact is I was napping, and so gently you came rapping, / and so faintly you came tapping, tapping at my chamber door”. Tu traduci:
    “Ma di fatto ero assopito e così lieve bussaste / e così sommessamente voi bussaste alla mia porta”.
    Mi piace che tu abbia utilizzato due parole diverse (“lieve” e “sommessamente”), rispettando l’originale, mentre Praz ripete due volte “blando”.
    In generale, la tua traduzione dei primi due versi di questa 4° strofa ha un andamento molto fluido (“e d’un tratto ebbi coraggio; cancellai l’esitazione, / ≪oh signore≫, dissi, ≪o Dama, perdonatemi, v’imploro”), mentre Praz arranca un po’ (“ecco, si fe’ forza il cuore; senza indugio più: ≪Signore, / chiedo a voi venia, credetemi, o signor≫, dissi, ≪o signora”). Leggendo ad alta voce questa differenza si sente ancora di più.

    Chissà perché nella 6° strofa Praz traduce “all my soul within me burning” con “pieno il cuore di doglianza”. La tua traduzione, senza stravolgere l’originale, recita più correttamente: “la mia anima un incendio”.

    Mi è piaciuto molto anche come hai risolto la traduzione dell’inizio della 10° strofa: “But the Raven, sitting lonely, on the placid bust, spoke only”. Tu traduci con: “Ma, posato solitario sopra quel busto sereno, solamente disse il Corvo”, che trovo molto più adeguato rispetto a: “Ma posando sol sul placido busto, il corvo, […] disse solo […]”, presente nell’edizione della BUR.

    Potrei continuare ancora un po’, ma non vorrei che questo mio commento diventasse troppo noioso o, peggio ancora, pedante.

    Mi permetto di farti una sola osservazione alla quale, se vuoi, puoi rispondere: nel primo verso, quando l’originale dà l’abbrivio con quel dolcissimo: “Once upon a midnight dreary, while I pondered , weak and weary”, tu traduci con: “Una tetra mezzanotte, meditando, stanco e debole”. Ecco, mi sembra che quel debole “indebolisca” un po’ l’incedere del verso, faccia un po’ incespicare nella lettura, come se, in una danza, il ballerino facesse quel mezzo passo in più che spezza il flusso. Praz aveva tradotto con: “Una mezzanotte grave, meditavo affranto e frale”, che ha una sillaba in meno.

    Come vedi, queste sono solo alcune note sparse. Scritte da un assoluto profano della difficilissima arte della traduzione.

    Ciao, Giordano

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  5. Francesca
    Ott 02, 2011 @ 19:17:00

    Caro Giordano, prima di tutto voglio farti i miei complimenti per l’attenzione, la precisione, la sensibilità con cui hai commentato la mia traduzione. Nient’affatto da profano, ma al contrario, da persona che, come comunque ben so, è molto attenta al suono e al valore della parola. Ma anche è chiaro che tu conosci molto bene la lingua e dunque, questa collazione fra la mia traduzione e quella dell’ “Innominabile” (così definito da sempre da chiunque lo conoscesse perché dietro di sé il poverino si lasciava un raro corteo di incidenti e sfortune, vere o presunte – e io non intendo rompere la tradizione) è per me un grande onore. Conosco ovviamente la traduzione di questo davvero grandissimo anglista e non mi piace, come non mi piacciono in genere le traduzioni dei versi di Poe che circolano. Almeno quelle che ho letto non si sono sforzate di ricreare quella musica meravigliosa che per Poe era parte essenziale, imprescindibile della poesia.
    E’ su questo che si basava TUTTA la sua poetica.
    E tu, giustamente, dici di leggere poesia solo a voce alta. Infatti è proprio così che va letta. Tutta la poesia. Io pure lo faccio. Perché in questo, sono allieva di Poe. E degli antichi. La poesia E’ musica. Una musica fatta di parole.
    Se così si facesse, quanta robaccia fatta passare per poesia verrebbe ricacciata nel silenzio a cui dovrebbe appartenere. E quanti poeti acclamati come tali tornerebbero a fare qualcosa di più utile che strombazzare i loro versacci.
    Nessuno pretende di trovare rime baciate a ogni piè sospinto, ma ci sono le assonanze, le allitterazioni, le rime interne, la danza delle sillabe ecc. E poi, se il senso e lo scopo lo richiedono, perché non ritrovare sonetti, canzoni, ballate? Zanzotto lo ha fatto, la Valduga lo ha fatto e con che risultati strepitosi.
    Certo, si dovrebbero possedere delle cognizioni di metrica e stile. Roba dimenticata da chi pensa che scrivere versi significhi andare a capo a un certo punto. Eppure, sono questi gli strumenti e le tecniche che un poeta (o anche uno scrittore) dovrebbe conoscere. Sono gli strumenti, i ferri del mestiere.
    Figurarsi! In un paese che acclama come grandi poeti la Merini, Zeichen, Sanguineti (le cui traduzioni – fra l’altro – dai classici greci erano non solo pietose, ma piene di errori) o una risibile Lamarque…. per non nominarne che alcuni che proprio non sopporto.
    E ripeto, meglio rinunciare a tradurre i versi di un poeta, se non si conosce per pratica, e non solo in teoria l’uso del linguaggio proprio della poesia.
    Mi piacciono le traduzioni di Giudici e ancor di più quelle di Quasimodo. Ma appunto…
    E’ per me una grande ricompensa trovare un lettore tanto attento e le cui osservazioni sono così pertinenti, ma non solo. Che dimostrano di aver capito completamente la ricerca che sta dietro il risultato.
    Mi è stato insegnato da un grande Maestro che la traduzione è prima di tutto rispetto del testo e dell’autore, e dunque lavoro filologico e critico prima di tutto. E poi conoscenza. Se non si conosce l’autore e la sua opera e la cultura e i tempi e lo spirito di quei tempi, la traduzione non sarà tale. Poi posso dirti che, quando questo Maestro traduceva versi da una lingua straniera in italiano, li cantava, li recitava a voce alta, li ripeteva, anche facendo altre cose, fino a quando non “suonavano” perfetti al suo orecchio di poeta.

    Per quanto riguarda la tua intelligentissima osservazione sul verso d’apertura, hai pienamente ragione. Quello di Poe è dolce e ha in sé una sorta di languore malinconico che è lo stato iniziale del protagonista e che rende ancora più intenso il contrasto con la durezza sprezzante del Corvo. Contrasto che poi deflagra nella disperazione che affiora, in realtà il vero sentimento che lo soffoca.
    Ma, volendo mantenere la fedeltà al testo, (nell’originale sono due ottonari) non mi è riuscito di trovare termini che potessero conservarne la lunghezza. L’ “Innominabile” invece, pur virando un po’ dal senso originale, ha mantenuto i due ottonari. E non è male il verso in italiano che ne risulta.
    Così ho preferito prendermi una licenza e inserire una sdrucciola che, appunto, come hai osservato con grande sensibilità, è una sorta di inciampo, di rottura dell’equilibrio. Che in Poe non c’è, (affiorerà verso dopo verso) ma che per me rende e anticipa quello che poi accadrà: la violenta disperazione che emerge e squarcia quella sorta di torpore dei sensi in cui l’uomo si crogiola.
    Ma hai ragione tu e prometto che cercherò una soluzione diversa, che sia più fedele a quella musica interiore che cantava in Poe e che è idea e forma allo stesso tempo.
    Grazie.

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  6. paulpoet
    Gen 18, 2012 @ 16:00:26

    Cara Francesca, ho scritto un commento alla tua versione del “Il corvo”, non l’hai gradito?

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  7. Francesca
    Gen 18, 2012 @ 16:48:18

    Caro Paolo, perché mi chiedi se non ho gradito il tuo commento? Ci mancherebbe, non c’era nulla di men che corretto. Ma, dato che mi chiedevi della tua traduzione de Il Corvo, ho preferito cancellarlo perché trovavo imbarazzante e mi dispiaceva doverti rispondere pubblicamente che la tua traduzione non mi trova affatto d’accordo su quasi nulla e perché, se posso, evito sempre di muovere delle critiche al lavoro altrui, per cui ho comunque rispetto.
    Stavo appunto scrivendoti in privato per spiegartelo. Forse sarebbe stato bene tu me ne chiedessi il motivo in privato e mi avresti evitato di risponderti pubblicamente. Ma, dal momento che mi chiedi qui di nuovo pubblicamente per quale ragione io abbia tolto il tuo commento, volentieri te lo dico. Tu citavi la tua traduzione di “only this and nothing more” che hai reso con “solo questo e nulla ancora”. Nothing more significa “nulla più, niente altro,niente pù” Tradurre “nothing more” con “nulla ancora” è un errore di traduzione e, allo stesso tempo, farebbe intendere un’attesa di qualcosa che arriverà. (Nulla ancora, ma poi, in seguito). Inoltre annulla quel senso di definitività che l’ossessiva ripetizione di “nothing more – nevermore” evocano e indicano. L’accento, in tutto il poemetto, è sulla mancanza definitiva e assoluta di ogni prospettiva futura.
    Per quanto riguarda poi la resa del ritmo ossessivo, ipnotico e ondulante, ma allo stesso tempo incalzante come un maglio, essenziale e fondamentale nel testo di Poe, che è anche il tratto distintivo di tutto il suo comporre poetico, che come sai ha teorizzato nei suoi meravigliosi saggi sulla composizione poetica, nella tua versione, come in quasi tutte le altre versioni in italiano, non lo trovo riprodotto. Non è tanto mantenere le rime che conta, se poi per farlo ci si devono inventare le parole e tradire il senso del testo. Quello che è importante è trovare un ritmo, una musicalità, che siano vicini e – se possibile – molto simili all’originale. E per Poe questo è essenziale. So bene come sia difficile raggiungere qualcosa che vi si avvicini, – tutti dobbiamo avere la misura dei nostri limiti – ma, come ho più volte detto, tradurre un testo letterario e poetico per di più, non è mai la trasposizione, per quanto elegante, di un testo da una lingua a un’altra, ma richiede uno scavo filologico, uno studio approfondito di un testo. Cosa che non dubito tu faccia, tuttavia il modo in cui io ho inteso la poetica che Poe esprime in tutta la sua produzione – in versi e in prosa, molto coerente ovunque – è diversa dalla tua. Ho dedicato a Poe molti studi e le mie traduzioni dei suoi versi si basano anche su questi studi. Poe dedica addirittura un saggio al significato e alle sua scelte poetiche per Il Corvo, The Philosophy of Composition, dunque nel tradurlo è bene tenere anche conto di quello che afferma nel suo saggio.
    Non volermene per le mie osservazioni, ma spero di averle motivate.

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  8. paulpoet
    Gen 18, 2012 @ 17:06:56

    Cara Francesca, grazie per le tue precisazioni. E’ chiaro che ogni traduttore è geloso dei propri risultati, figuriamoci poi uno che si rispetti! Permettimi però di dirti che conosco il significato di nevermore (mai più). Ho usato “niente ancora” nel senso “niente nuovamente”, cioè mai più, e perché mi serviva per la rima. Non te ne voglio, per carità, ti considero già una mia cara amica. Paolo.

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  9. daniel da un paese lontano
    Gen 29, 2012 @ 22:32:04

    purtroppo io non parlo italiano molto bene, ma questo non significa che non so leggere in italiano. Il Corvo mi piace moltissimo e ho letto molte volte in inglese. The rest of what I’ve got to say will be in English. As far as this translation is concerned I was disappointed to see that it isn’t rhymed as the original. There is a translation of IL Corvo into Polish by Stanislaw Baranczak where he menaged to preserve the rhythm and rhymes. He also translated “Nevermore” which the raven says in the poem as ” Kres i krach” which means The end and the crash and sounds similar to a real raven’s crying. I wish the Italian translations would be closer to the original in that respect.

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    • Francesca
      Gen 30, 2012 @ 01:06:57

      Dear Daniel, it is quite hilarious to see that someone, unable to write more than two sentences in a foreign language, would assume to be able to judge a literary translation into that language. Although you claim you can read Italian, I can assure you that it is not enough to understand and appreciate all the shades and subtleties of the poetic language.
      It is also clear that you don’t know much about literary translation either, or about translation at all. In fact, only a very naive and superficial reader could think that it would be possible to preserve ALWAYS both the original rhymes and, at the same time, to be true to the original in translating a poem. Sometimes this is possible with sister languages (like Italian, Spanish, French etc, or English and German etc,) but not always with distant languages. To do so, you should completely turn on its head the original and insert words that were not there and the poet never thought of, just in order to find a rhyme whatsoever. It is often impossible for languages so distant and different and only a very bad and gross translator will push rhyme after rhyme convinced that rhymed couplets mean great poetic translation. The result can only be a bad and old fashioned translation. Like I often read for The Raven.

      There are many other devices to render sound and rhythm, but one must know how to do it. It is a question of technique and musical sense.

      I don’t know of course Stanislaw Baranczack’s translation, but, were one to judge from how he kills the effect Poe aims at by chosing the word “nevermore”, I don’t know what a kind of a translation that can be.
      He totally distorts the meaning of “Nevermore” twisting it in a grotesque “the end and the crash”, that I don’t know what it has to do with nevermore and has a totally different sound anyway, quite harsh if compared to the mellow long echoing of “nevermore”. So it is very distant from the original, both in sound and in meaning. So why? Just because the Polish translator thought he had the right to chose two words that sounded like a raven’s cry? Nevermore doesn’t sound like a raven’s cry, so that was not the effect Poe wanted to create. Just horrible. In his essay “The Philosophy of Composition” Poe takes a geat pain in explaining WHY he choses the word “nevermore”.
      If you’d known better Italian, you would have seen that in my translation, absolutely true to the original (like any very good translation must be) there are many internal rhymes, alliterations and exactly the same rhythm of the original. I have even retained the original octosyllable, and, at the same time, the internal rhyme and alliteration technique that are a distinct character of The Raven.
      It seems you were unable to understand that too. Probably your musical ear is not so good either, if you didn’t see that, neither in Italian nor in English.

      P.S: Although your comment has no great sense, I’ve decided to publish it and answer. You should have seen in my introductory note and in my following comments, that I know very well what I’m talking about. Criticism is always welcome if it has a constructive reason and it comes from someone who knows very well the subject of his words. Otherwise is just an empty and sad exercise of ill feelings.

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    • divadellecurve
      Gen 30, 2012 @ 11:18:34

      to me changing the meaning of a poetry means killing it… the rhyme is not the first thing, rhythm is, and a true poetry lover knows that!

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  10. Francesca
    Gen 30, 2012 @ 12:45:51

    Kiling poetry (and not only poetry) is – alas! – a very frequent sport among translators…. as I have often written, translting poetry is first of all a question of knowledge, of philology and ability to write poetry. And, last but not least, a long practice and experience, remembering that translating a masterpiece is an act of humility, love, respect, devotion to the author. All these things must be kept in mind.

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  11. Linda
    Mag 05, 2016 @ 08:18:06

    grazie francesca è la traduzione (a mio avviso) più azzeccata!!

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  12. egilllarosabianca Kartine
    Gen 10, 2017 @ 21:09:25

    Divina! So tutto di lui Ho iniziato a leggerlo a 11 anni Poe non avendo assolutamente idea di chi fosse il primo racconto scelto può immaginarlo… amando gli animali, mi turbo profondamente,il tradimento di lui verso Nerone molto simile al Demone della Perversità. Lei scrive come io vorrei scrivere

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  13. egilllarosabianca Kartine
    Gen 11, 2017 @ 18:33:57

    Posso chiedere perchè ha preferito Minerva a Pallade forse perché considerato attributo della dea e perchè non Athena? Grazie
    PS. Plutone e non Nerone mio errore

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    • Francesca
      Gen 11, 2017 @ 18:49:40

      Certo cara, la scelta è dovuta a ragioni di metrica. I metri che ho usato sono doppi settenari o ottonari ( nell’ultimo caso in realtà la prima parte è un novenario con una sdrucciola) e, se avessi usato Pallade o Athena (che tra l’altro ho però voluto evocare in “pallido”) il ritmo sarebbe saltato. E qui riuscire a conservare il ritmo dell’originale era essenziale

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