Riflessioni sui concetti di Forma ed Evento in Carlo Diano di Francesco Taddio

DIANO EDIZIONI NERI POZZA

Volentieri pubblico alcune brevi ma dense considerazioni del giovane filosofo Francesco Taddio su Carlo Diano, che si è avvicinato al suo pensiero con passione e dedizione e ha dimostrato di cogliere con acume alcuni aspetti fondamentali della sua visione. Di questo lo ringrazio.

Francesca Diano

 

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Il pensiero di Carlo Diano ci è significato in due termini fondamentali: forma ed evento. Il termine evento non è ciò che accade genericamente ma ciò che accade in particolare a qualcuno, di conseguenza l’accadere è così prospettivato nella presenza immediata di qualcuno che ne coglie la/una manifestazione. L’evento è sempre nella relazione di due aspetti come pura essenzialità dell’ hic et nunc e la periferia spaziotemporale dell’accadere in cui si presenta il divino l’apeiron periechon. Vi sono eventi ed eventi, e ciascuno ha la sua dimensione e la sua direzione, ma tutti sono caratterizzati dalla vissuta presenza dell’apeiron periechon. Per Heidegger l’essenza e l’esistenza sono l’Esserci come anche essere-nel-mondo, e così lo stesso essere-nel-mondo è inseparabile dalla comprensione che l’Esserci ha del suo essere, ma anche dalla comprensione che l’essere-nel-mondo ha.

La seconda categoria fenomenologica fondamentale per l’approccio agli studi sulla grecità antica per Carlo Diano, è quello della forma.  È importante considerare ciò che è adesso, ovvero ciò che differenzia le singole vite. Ecco che, in una considerazione squisitamente kantiana, si può individuare un’apparente forma dualistica dell’evento nello spazio e nel tempo, data la considerazione di Carlo Diano sull’individuo (singola vita) e la società (civiltà umana), ma ciò che più di tutto risulta dai suoi studi è la possibilità di arrivare e sporgersi alle soglie della forma. Tutte queste chiusure considerate in se stesse fuori dalla relazione con l’evento sono forme e non sono possibili senza azione del principio che è proprio della forma, ma non sono la forma. Forma è ciò che i greci da Omero a Plotino chiamarono èidos, ed èidos è la cosa veduta e assolutamente veduta congiuntamente a sé stessa. In un senso più prossimo all’aristotelismo è la potenza e atto che convergono nella contemplazione, si può intendere invece che questa convergenza sia un divergenza proprio in virtù del fatto che vanno concepite sia la dimensione-manifesta mondana che l’attuazione nel mondo, in altre parole la cosa veduta e assolutamente veduta è fenomenologicamente la manifestazione del mondo all’Esserci, nell’Esserci, con l’Esserci.
In questo senso possiamo considerare le categorie di Diano dal punto di vista critico
precedenti ad Heidegger, nonché dal punto di vista dello scritto e dell’aver colto  l’essenza del pensiero greco, più pervasive che in Aristotele.
L’attualità del pensiero di Carlo Diano si mostra anche e soprattutto nella sua concezione
essenzialmente e potentemente greca della filosofia che gravita attorno al verbo e al nome.
E non è solo un fatto di linguistica, bensì una vera definizione dell’archè per cui verbo e
nome sono in qualche modo due categorie non solo accostabili ai termini evento e forma ma esse stesse permettono di portare traccia dell’evento e della forma nella sfera della
rappresentazione; sono veri e propri termini e incominciamento rispettivamente dal punto di vista linguistico e filosofico, come fine e rispettivamente inizio della Cosa. Come afferma l’Usener, un elemento fondamentale per il coglimento di una fenomenologia di rilievo è che: “la cosa singola che vedo davanti è null’altro che il dio”. Poiché dunque la  separazione non c’è se non nella rappresentazione formatasi, e quindi neanche l’idea della causa, ecco che la distinzione come separazione e della chiarezza come idea della causa ci riporta sul piano del nome e del verbo. In questo senso e generalmente in questo senso, Cartesio nella sua concezione del chiaro e del distinto va ricondotto sul piano della filosofia greca rispetto alla tradizione per cui il chiaro è ciò di cui riesco a determinare la
manifestazione nel qui ed ora, il distinto è invece – della manifestazione – la sua
determinazione rispetto a qualcuno.

In qualche modo la forma ha una valenza chiarificatrice una volta manifestatasi e nel suo manifestarsi, mentre l’evento ne è la possibilità di poter cogliere la separazione tra le presenze manifestatesi a qualcuno. Una volta che si sia semplificata una frase, o rimangono le atomizzazioni linguistiche che costituiscono struttura senza però essere legate tra loro, oppure vi sono gli elementi dinamici del verbo. Ora, nella ricerca delle cause, quando Carlo Diano mostra che quando qualcosa accade perché accade, se tolgo il perché restano solo due elementi: accade-accade. Ovvero una tautologia se la si porta sul piano della dimensione spaziale, ma essa è una ripetizione. Di tali ripetizioni ne facciamo di continuo, ed è un’impasse che permette l’emergere di un circulus vitiosus. In altre parole, ci sono degli eventi dal punto di vista della vita che concettualmente sono dei circoli chiusi, ne sono caso la morte e rispettivamente la contraddizione. Qui abbiamo un passaggio alla sfera geometrica, ovvero nel concetto di centro e periferia per cui la ricerca della causa risulta un moto della cosa finché non si è usciti dall’evento, in un modo o nell’altro, ovvero dal punto di vista della vita o del discorso. In un certo modo il rappresentato s’incontra con il qui ed ora nell’ubiquo e sempiterno.
La grande differenza tra forma ed evento emerge dal fatto che esiste una
manifestazione che si manifesta assolutamente e quindi all’uno (forma) con preminenza
metafisica alla manifestazione, e quella manifestazione che si dà ad un qualcuno, in maniera ancora indeterminata nella sua forma ma non nel suo presentificarsi a qualcuno, il quale sembra essere invece qui ed ora determinato.

Le definizioni di forma ed evento allora non possono avere valore assoluto in quanto sono delle categorie, e per di più delle categorie fenomenologiche, poiché tanto più definiscono un ubiquo e sempiterno, tanto più sono indefinibili dal punto di vista ontologico. Infatti la rappresentazione non ha attinenza ontologica ma è ciò con cui esperisco l’ente.

Francesco Taddio

 

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