James Harpur. Teti. Lo spettro-falena. Una cantata

elioarte: IMMAGINE:PITTORE DI DAMONE - TETI E LE NEREIDI COMPIANGONO  ACHILLE (560 A.C.).JPG

Teti e le Nereidi piangono Achille. Pittore di Damone, VI sec. a. C. Louvre. 

Questo bellissimo testo, che James Harpur mi ha concesso di pubblicare in anteprima mondiale e nella mia traduzione, è una Cantata, che gli è stata commissionata, proprio sul tema di Teti e di Achille, da Nicola LeFanu, grande compositrice, direttrice d’orchestra e accademica inglese di origine irlandese, nota e grandemente apprezzata in tutto il mondo. LeFanu, che tra l’altro ha studiato anche in Italia con Goffredo Petrassi, è autrice di oltre 100 opere, tra cui pezzi per orchestra, gruppi da camera e voce, e sei opere. Ringrazio anche lei per avermi concesso la possibilità di pubblicare il testo tradotto e in inglese, dato che è lei la committente. Si uniscono così, in quest’opera, due grandissime voci internazionali, una poetica e una musicale, della cultura angloirlandese.

L’opera mi tocca particolarmente da vicino per molti motivi, anche personali; la Cantata sarà composta da una delle non moltissime donne compositrici, il tema è quello di una madre che piange il figlio morto, la sostanza e la struttura sono ispirate a un caoìne, una lamentazione funebre irlandese codificata, che in Irlanda ha una tradizione nobile e antichissima, come antichissima è la tradizione del threnos greco, da cui deriva direttamente, e il soggetto è classico.

L’andamento ipnotico e ritmico, che suggerisce la circolarità del tempo – l’eterno ritorno – che è la dimensione in cui Teti esiste, è interrotta dall’aspro ritornello in cui la Dea grida il suo strazio, non tanto divino, quanto umano. Non è solo l’eterno ritorno del tempo, ma l’eterno ritorno del dolore, la condanna che l’immortalità porta con sé. E vorrei dire che, se la morte di un figlio è lo strazio più atroce che una persona – e una madre – possa vivere, un dolore che è difficilmente esprimibile e non passa mai, è il miracolo dell’arte riuscire a dirlo, a comunicarlo con questa intensità e verità anche se non lo si è provato. E’ quanto fa Harpur, che coglie anche quell’aspetto della ciclicità che questo tipo di dolore ha in sé. Chi lo conosce, infatti, sa che anche dopo molti anni riemerge intatto, inaspettato, feroce come nell’istante della perdita.  Non tutto guarisce il tempo.   

Ho cercato di mantenere, nella traduzione, questo ritmo e per quanto possibile, gli effetti sonori-  

Nella Nota premessa da Harpur, sono chiariti  il significato e la struttura della composizione, che, si tenga conto, è una Cantata, dunque prevede una messa in musica. Nicola LeFanu non ha ancora completato la composizione e dunque questa è un’anteprima davvero preziosa. 

Francesca Diano

***************************

JAMES HARPUR

TETI

Traduzione di Francesca Diano

 

 Lo spettro-falena

(Teti, la dea del mare, piange il figlio Achille)

Ora non vedi le alghe sulla sabbia,

la via tra le dune lungo cui passeggiavi,

la grotta che si animava di frulli d’ali.

Le onde che in un ruggito riverso dalla bocca,

le risucchio in un sibilo tra i denti.

Nulla, figlio, mi aveva preparata

alle fiamme delle tue ossa,

all’odore dell’olio che arde,

al pianto corale degli uomini

trasportato dal vento

sulla piana di Troia oscura come il vino.

Fin da quei giorni io seppi

che anzitempo tu saresti morto;

oh, come attesi i segni! –

la carcassa di un delfino alla deriva,

il grido improvviso d’un gabbiano

come il balenio d’una freccia.

E ora non vedi più le alghe sulla sabbia,

la strada sulle dune lungo cui passeggiavi,

la grotta che si animava di frulli d’ali.

Le onde che in un ruggito riverso dalla bocca,

le risucchio in un sibilo tra i denti.

Nel mio abbraccio mai nulla muore:

le mie immagini sono simili ai pesci

che incrociano le correnti del mio essere –

io tento di respingerle ogni giorno

ma s’affollano sempre: la tua nascita,

la massa dei tuoi capelli risplendente,

l’acquamarina dei tuoi occhi

ed ora, il tuo spettro-falena

che fiuta l’Ade alla ricerca di sangue.

Da tempo ho abbandonato un mondo

vuoto di te, mio Achille,

e tu così giovane, ma morto,

io viva ma mai vecchia,

i ricordi mi incrostano

come cirripedi, anemoni,

i miei occhi fissi in eterno

sulle alghe sulla sabbia,

sulla via tra le dune lungo cui passeggiavi,

sulla grotta che si animava di frulli d’ali.

Le onde che in un ruggito riverso dalla bocca,

le risucchio in un sibilo tra i denti.

NOTA di James Harpur

Teti, la dea del mare, piange la morte del figlio Achille, l’eroe greco che sarebbe stato imortale se non avesse avuto sul tallone quel punto vulnerabile, colpito da una freccia di Paride. Teti è la personificazione del mare e dunque la sua sostanza è legata al ritmo delle maree, dunque il testo cerca di trasmettere questo aspetto attraverso l’uso di una “ripresa” o refrain, più ampia e sciolta rispetto ai versi più brevi e netti del resto della poesia.

Inoltre, Teti è immortale e la ripresa vuole enfatizzare l’eterna continuità della sua esistenza – l’ininterrotto ritmo del respiro, l’andare e venire della vita.

Il cuore del testo è una intensa elegia per il figlio – il dolore crudo di una madre che perde il figlio, ma anche l’idea del proprio tragico fato di essere immortale. L’apparente fortuna di una vita eterna porta con sé la maledizione di dover vivere in eterno con i ricordi; in questo caso, quello di una perdita. Man mano che questo si fa chiaro nel testo – un dolore che mai si sopirà – la ripresa sottolinea, nella ripetizione dei due versi, gli aspetti visivi/sonori non solo del naturale movimento del mare, ma anche dell’innaturale dolore per il lutto e l’ira della dea.

L’immagine per sempre fissa nello sguardo di Teti ( e che mai potrà dimenticare)  è quella della cremazione di Achille – l’odore dell’olio di oliva che brucia, il pianto dei compagni e poi i ricordi di Achille bambino, che contrastano con il suo attuale stato nell’Ade, dove i morti sono larve vaganti e fluttuanti, che hanno necessità di nutrirsi di sangue per assumere aspetto umano. Così Ulisse, nel Libro XI dell’Odissea deve provvedere del sangue per parlare con Achille e Agamennone.

Il testo è dunque costruito secondo uno schema circolare e senza soluzione di continuità, ma anche lineare, a evocare il tempo mortale, nelle terzine e si conclude, ritornando su se stesso in un ciclo ininterrotto che, tuttavia, può essere inteso forse come una ciclica catarsi, seppur temporanea.

***********************************

JAMES HARPUR

THETIS

 

The Moth-Ghost

(The sea goddess Thetis mourns her son, Achilles)

Now you cannot see the seaweed on the sand,

the path above the dunes where you would stroll,

the cave that came to life with flitting wings.

The waves that roll from my mouth in a roar

my teeth suck back with a hiss.

Nothing, my son, prepared me

for the flames on your bones,

the scent of burning oil,

the choral wailing of men

that drifted on the wind

across the wine-dark plain of Troy.

Throughout those days I knew

you’d die before your time;

and how I waited for the signs! –

the drifting carcass of a dolphin,

a seagull’s sudden cry

like the flash of an arrow.

And now you cannot see the seaweed on the sand,

the path above the dunes where you would stroll,

the cave that came to life with flitting wings.

The waves that roll from my mouth in a roar

my teeth suck back with a hiss.

Nothing dies in my embrace:

my images are like the fish

that cross the currents of my being –

each day I try to shed them,

but still they swarm: your birth,

your shining shock of hair,

the aquamarine of your eyes

and, now, your moth-ghost

sniffing for blood in Hades.

I’ve long outgrown a world

without you, dear Achilles,

and you so young, but dead,

and me alive and never old,

memories encrusting me

like barnacles, anemones,

my eyes forever pinned

on the seaweed on the sand,

the path above the dunes where you would stroll,

the cave that came to life with flitting wings.

The waves that roll from my mouth in a roar

my teeth suck back with a hiss.

(C)by James Harpur e per la traduzione by Francesca Diano RIPRODUZIONE RISERVATA

La Cantata di Nicola LeFanu e James Harpur