In Irlanda, all’estremità della Dingle Peninsula, nel Kerry, vi è un piccolo gruppo di isole, le Blasket Islands, l’unica abitata delle quali, fino agli anni ’50 del secolo scorso, era la più grande, la Great Blasket, in gaelico An Blascaod Mòr. Gli abitanti dell’isola, che vivevano di pesca, allevamento e le poche cose che si potevano coltivare, parlavano un gaelico particolarmente puro e nobile, tanto da attirare, fin dai primi decenni del ‘900, studiosi non solo irlandesi, ma anche americani e svedesi. La vita era, come si può immaginare, molto dura, ma sulla Great Blasket le antiche tradizioni, il ricchissimo folklore e la suprema arte della narrazione erano cose vivissime. Sulla Great Blasket visse anche Peig Sayers, una seanchaì (storyteller) leggendaria, che conosceva a memoria 300 fra storie e leggende, alcune lunghe anche più notti (così si contava la lunghezza di una storia) e dalle incredibili capacità narrative, tanto da essere definita “l’Omero donna”. Peig morì sulla terraferma nel 1958, amata e riverita come una regina dai maggiori studiosi di folklore irlandese.
Ma, per le difficoltà della vita, (non c’era nemmeno la corrente elettrica) nei primi decenni del ‘900, molti giovani cercarono fortuna o sulla terraferma o in America e l’isola – già abitata da poche decine di persone – cominciò a spopolarsi. Tuttavia, l’interesse di studiosi per l’antica cultura convinse alcuni degli isolani più dotati nell’arte della narrazione a scrivere le proprie memorie e a consegnare alla storia una cultura antica e nobile che presto sarebbe sparita. Infatti, alla fine degli anni ’50, tutti gli abitanti vennero trasferiti sulla terraferma.
L’isola, i suoi paesaggi, il suono del mare, sono un’esperienza di struggente bellezza e profondamente spirituale, che ancora ho nel cuore e vivissima nella memoria. Come le storie dei suoi seanchaì.
Questo testo è parte di un piccolo gruppo di testi poetici, sia in italiano che in inglese, che mi sono stati ispirati dall’Irlanda, sia durante il mio soggiorno che in seguito. Solo un modesto tributo di riconoscenza al moltissimo che da questa terra ho ricevuto.
Sia lode ai poeti di An Blascaod Mòr e possa la loro voce sempre risuonare insieme a quella del mare e dei venti.
F. D.
Peig Sayers nella sua casa. Foto del Department of Irish Folklore. University College Dublin
An Blascaod Mór
Eco – mia isola grande
acque d’amaro d’ambra
nel forzato abbandono.
Fluttuante transito d’ombre
d’altro mondo silenti
antiche tempeste sferzano
coste costole del grande
corpo di guerriero dormiente
cresta d’onda terra s’è fatta
su scintille d’oceano
zolle saline nutrimento
che alimenta spettri,
sussurro di mia stirpe
regale spira di correnti.
Circolare il tacere memoria
insaziata del negato ritorno.
Agli avi faccio dono
delle ossa loro solo dominio.
Vita s’è consumata
come spuma nel canto
degli scogli – roccia l’anima.
Sussurri d’antichi poeti
affidati al vento alle tempeste.
La luna lascia scie
sulle acque donando
parte della sua luce
nel riflesso dell’attimo
che mai si estingue.
(C)by Francesca Diano RIPRODUZIONE RISERVATA
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