In Sardegna con Grazia Deledda. Un viaggio con Rossana Dedola

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Per chi, come me, la Sardegna la conosce solo grazie ai libri o alle immagini, questo libro, edito di recente da Perrone Editore, si rivela un preziosissimo strumento per entrare nel paesaggio, nello spirito e soprattutto nella scrittura di Grazia Deledda, che della Sardegna e del suo spirito è stata il bardo donna. La sua autrice, Rossana Dedola, anche lei sarda, scrittrice, saggista ed esperta psicologa junghiana, ma soprattutto profondissima conoscitrice della Deledda, cui ha già dedicato una ricchissima e affascinante biografia, Grazia Deledda. I luoghi, gli amori, le opere, Avagliano Editore, ci prende per mano e ci accompagna lungo un doppio viaggio, fisico e letterario, nei luoghi che fanno da sfondo ai romanzi della scrittrice sarda.

Potremmo definirlo un “viaggio sentimentale”, o un travelogue, ma è anche molto di più, perché esplora due territori che si fondono in un’unica dimensione archetipica: l’uno è visivo e fisico, l’altro letterario. E questa fusione avviene passo dopo passo, paesaggio dopo paesaggio, incontro dopo incontro, citazione dopo citazione, fino a che ci rendiamo conto che i luoghi e i paesaggi che Deledda descrive e Dedola ripercorre nel corso di diversi viaggi e di diverse stagioni sono anche proiezione della mappa interiore non solo dei suoi personaggi, ma di lei stessa.

Come ben si sa, nonostante Grazia Deledda sia stata l’unica donna italiana ad aver ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura, invece di essere celebrata come tale con orgoglio nazionale, è ancora incredibilmente relegata in un ruolo quasi secondario, quasi fosse un’autrice di nicchia. Prova ne sia lo spazio esiguo, se non inesistente, che trova ancora oggi nelle antologie scolastiche, dove decine di pagine sono dedicate a Svevo, Montale, Ungaretti (assai meno all’altro Nobel, Quasimodo), o il fatto che ancora esistano rancorosi critici (maschi), i quali riecheggiano i rabbiosi giudizi di alcuni suoi contemporanei, dettati dall’invidia o dall’assoluta incapacità di comprendere una scrittura originale, diversa da tutte le altre, che oltretutto vorrebbero etichettare con ismi del tutto fuori luogo. Perché sì, diciamolo pure, Deledda è stata ed è un unicum nella nostra letteratura. E tale rimane, perché non può avere seguaci. Perché? E’ presto detto: la sua è una scrittura che io ho definito nuragica, vale a dire possente, robusta, arcaica, coesa, nutrita di mito, primordiale e figlia di un tempo al di fuori del tempo. La sua è una terra del mito, anche se narra di personaggi e situazioni a lei contemporanei.

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Il mondo che descrive non è così diverso da quello omerico, medesime le leggi, così come figure tragiche sono i suoi personaggi, i quali si muovono in una dimensione arcaica e precristiana. Ed è forse per questo muoversi in quello che è il tempo e lo spazio del mito, pur calato nella contemporaneità, per questa sua unicità, che la sua scrittura non è facilmente comprensibile. Non lo è perché mostra costantemente un mondo che precede il conflitto tra cultura e natura, in un paese come l’Italia, dove questo conflitto s’è radicato da secoli. Nei suoi romanzi tutto è natura, al punto che non v’è differenza sostanziale fra rocce, vegetazione, animali, uomini, acque, esseri magici, creature invisibili, cosmo. Tutto è fatto della medesima sostanza, tutto obbedisce alle medesime leggi primordiali.

E’ proprio questo che Rossana Dedola ha messo in luce, mentre ci guida lungo strade assolate, paesini calcinati dal sole, sentieri velati di pioggia, distese di erbe e fiori dai profumi stordenti, monti e colline e grotte, venti, feste, e soprattutto, fino alla visione del mare, che apre il libro, dal punto esatto in cui Deledda lo vide per la prima volta. Così Rossana Dedola compie quello che in realtà è un pellegrinaggio alla fonte del Sacro, il vero respiro che alita sulla scrittura della Deledda.

Questa dimensione sacrale emerge in particolare in alcuni momenti di questo libro. Quando si parla delle tradizioni, così forti ancora, che rivelano il permanere di una memoria antichissima, quando Dedola trascrive brani di meravigliose lamentazioni funebri, in realtà esempi altissimi di poesia, che le prefiche recitavano per celebrare e facilitare il passaggio verso un’altra dimensione, quando ci mostra la bellezza delle statuine arcaiche che indicano un culto radicato della Grande Dea Madre.

Ogni tratto di strada, ogni scorcio di paesaggio è accompagnato dai brani dei romanzi che fanno da contrappunto letterario alla visione dei luoghi deleddiani e la profonda capacità di identificazione della Dedola con lo spirito naturale dei luoghi, non meno che quel suo sapersi immergere con sapienza nelle pieghe più profonde della scrittura della Deledda rendono questo viaggio un percorso interiore affascinante.

Il paesaggio in letteratura è sempre uno specchio assai preciso della mappa interiore dell’autore, non meno che una sua proiezione, perché la scelta di quel paesaggio, di quello scorcio, di quello sfondo dell’azione sono sempre e comunque scelte precise di paesaggi e percorsi interiori. Ritagliano uno spazio all’interno dell’infinito spazio e ne fanno una geografia universale. Ma la Sardegna, un’isola assai più isolata in sé delle altre isole mediterranee, per molti motivi, ha conservato qualcosa che altrove s’è perso, la connessione con una dimensione primordiale. Poiché nulla del genere è rimasto così intatto in Italia nei millenni e poiché è questa la dimensione che la scrittura della Deledda esplora – e che lei ben conosceva – libera da condizionamenti e influssi estranei, la sua scrittura rimane un unicum, ed è ancora poco compresa. Nuragica, come dicevo, ma capace di vedere nella sua terra quella dimensione materna, creatrice, uterina, che è propria dei luoghi dove le fonti sacre sono manifestazioni della Dea, dove le donne sono maghe e dee della casa e possiedono il potere di dare la vita e la morte. Dove sono le traghettatrici verso l’Oltre.

La Deledda ha narrato per tutta la vita quella Sardegna, che la permeava e la invadeva anche quando se ne era poi fisicamente distaccata. Come fanno gli esuli, che si portano dentro l’immagine e la voce della patria intatta per tutta la vita, avvolta in un’aura luminosa e mitica.

Credo che una simile analisi della scrittura della Deledda quale quella che Rossana Dedola ci regala, con grandi doti di scrittrice lei stessa e di finissima osservatrice, non fosse mai stata fatta. Dunque, chi vorrà davvero trovare una chiave d’accesso alla scrittura della Deledda, non potrà fare a meno di lasciarsi guidare per mano dall’autrice.

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FRANCESCA DIANO

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