Non sono molti i poeti che pubblicano per la prima volta le loro opere alla mia età. In genere chi inizia a scrivere poesia (o anche prosa) da bambino e prosegue per tutta la vita, pubblica relativamente presto. In realtà fu Diego Valeri, il grande poeta, che mi conosceva fin da piccola, a voler pubblicare, quando avevo 11 anni, tre mie poesie sulla rivista Padova (ora Padova e il suo territorio) di cui era direttore. Non so se ho ancora quel numero da qualche parte. Quei brevi testi parlavano di vita e di morte e di fili su cui si posavano le rondini.
Credo di aver iniziato a pensare in poesia ancor prima di saper scrivere, perché mi dicono che parlavo in rima. Mi è sempre parso naturale e per me la scrittura è sempre stata poetica. La prosa la riservavo a saggi e articoli, e alla narrativa mi sono dedicata relativamente tardi, verso i 40 anni. Ma, quanto alla poesia, per me è sempre emerso prima il suono dei versi e poi le parole per modularlo. Non concepisco una forma poetica che non sia contemporaneamente musicale.
A 35 anni diedi dei miei testi ad Andrea Zanzotto, che frequentava casa nostra ed era amico di famiglia fin da prima di diventare famoso, per via dei rapporti con Valeri e Neri Pozza. Lui mi incoraggiò e mi disse di non smettere di lavorarci e che certe immagini gli piacevano molto. Nel 1988 venne organizzata una meravigliosa serata alla Sala dei Giganti dell’Università di Padova, intitolata Poesia e musica, a cui intervennero Emilio Mariano, allora sovrintendente del Vittoriale e grande italianista, che parlò dei miei testi, l’attore Filippo Crispo che li lesse, il Maestro Dalla Porta, compositore di musica e direttore del Conservatorio di Padova, il critico musicale Franco Fayenz che parlò di musica contemporanea e il Maestro Elio Peruzzi, clarinettista di fama, che insieme a un pianista eseguì brani di musica contemporanea. Il pittore Galeazzo Viganò disegnò una locandina di grande suggestione. La Sala contiene circa 500 persone, eppure quella sera dovettero mandar via gente perché non c’era più posto. Un’esperienza così non la dimenticherò mai. E chi potrebbe dimenticarla?
Poi la vita mi ha travolta e, pur seguitando a scrivere poesia, non mi sono dannata per pubblicarla. Avrei potuto fare come moltissimi, cioè rivolgermi a editori a pagamento; ma francamente la sola idea mi ripugna. Dunque ho pensato che, se qualcosa i miei versi valevano, prima o poi, magari postumi, qualcuno li avrebbe apprezzati. Del resto non mi sono mai data veramente da fare per pubblicare i miei testi poetici, non perché li ritenessi privi di valore. Sarei ipocrita se così dicessi. La mia è una poesia lungamente meditata, limata, stratificata, in cui non c’è nulla di lasciato al caso, anche se nasce sempre – come sa chiunque scrive poesia – da una sorta di illuminazione improvvisa o ispirazione necessaria. Non è un hobby o un passatempo. Ma non mi piaceva nemmeno avere a che fare con certi ambienti e meccanismi. Sono sempre stata un battitore libero. Dagli anni ’80 mi sono dedicata soprattutto alla narrativa e a un’intensa attività di traduttrice letteraria, tuttavia non ho mai abbandonato la poesia.
Poi arrivò Internet. E con Internet la possibilità di diffondere idee e testi. Così creai questo blog e cominciai a pubblicare moltissimi articoli di critica, ma anche traduzioni di testi poetici, riflessioni, memorie legati ai miei interessi di studio, ai miei percorsi di vita, ai miei incontri e alle opere e alla personalità di mio padre. E, varie mie poesie. Qualcuno le notò e così alcuni di esse vennero pubblicate da noti blog di poesia e su antologie cartacee di poeti italiani contemporanei. Infine pubblicai la raccolta Bestiario con Nerocromo Edizioni. Nel frattempo alcuni miei testi sono stati letti da valenti attori nel corso di alcuni spettacoli teatrali (come Il Minotauro, messo in scena nel 2021 dalla compagnia teatrale “Officina Poetica” di Cremona) e, quest’anno, in questa splendida edizione, è uscita questa corposa antologia. Voglio anche ringraziare Raffaella Bettiol, sensibile poetessa, donna di raffinata cultura e cara amica, per la sua illuminante introduzione. Fisiologia delle comete raccoglie insomma il meglio della mia intera produzione poetica a partire dagli anni ’70, tralasciando i testi degli anni precedenti.
Il titolo nasce dal poemetto omonimo in quattro parti, che, posso dire, è una summa della mia poetica e della mia visione del mondo. Le comete, corpi celesti che mi sono sempre parsi affascinanti e misteriosi più di qualunque altro, mi hanno sempre incuriosita e affascinata e ritornano spesso come metafora nei miei testi. Da sempre convinta che non vi sia alcuna diversità fra le leggi della natura e i comportamenti umani, (“ciò che è in basso è come ciò che è in alto e così nel piccolo come nel grande”, secondo la legge ermetica di corrispondenza) per me la poesia è un’esplorazione e un’analisi della realtà come essa ci appare, ma come non è, e dell’animo umano, con una voce distintamente spirituale, uno strumento privilegiato per accedere a una visione trascendente ed entrare in contatto con gli universali.
Mi rendo conto che la mia non è una poesia immediata o facile; a tratti lo sembra, a tratti molto meno, a tratti è labirintica, a tratti invece è più piana e trasparente, ma rispecchia le mie molte vite, le mie molte esperienze, i molti mondi e creature cui mi sono avvicinata e in cui mi sono immersa. I miei testi tentano di essere una sintesi di un mondo interno che io stessa sento estremamente complesso. Ma non complicato.
Spesso mi domandano quali sono i poeti che mi hanno influenzata e io non so cosa rispondere, perché mi sembra che vi sia così tanto a cui devo quello che scrivo. Ma se volessi dare alcune indicazioni su quelli che sono stati i miei modelli e fonti di ispirazione, direi, in ordine cronologico, i poeti provenzali, che mi hanno sempre galvanizzato per la vertiginosa complessità dei simboli e la meravigliosa danza fra trobar clus e trobar leu (una poesia ermetica, a chiave, da iniziati e una maniera più facile e accessibile), gli Stilnovisti, per un motivo analogo e anzi per l’ulteriore approfondimento del labirinto provenzale; i poeti metafisici inglesi, in particolare John Donne e George Herbert, Baudelaire e Verlaine moltissimo, Poe nella sua veste di poeta, Gerard Manley Hopkins, Leopardi, G. B. Yeats, l’antichissima tradizione orale del caoineadh irlandese, Dylan Thomas e naturalmente James Harpur, l’opera del quale è ormai parte del mio paesaggio interno e da cui tanto ho imparato. E, naturalmente, mio padre e il mondo che mi ha lasciato in eredità e da cui attingo costantemente.
Devo anche precisare che ho scritto una serie di testi direttamente in inglese, poiché in inglese sono nati.
Un esempio fra i più significativi di una fusione fra il trobar clus e la poesia metafisica inglese è proprio la composizione in quattro parti che dà il titolo alla raccolta, Fisiologia delle comete.
E’ chiaro dunque che devo ben poco alla poesia italiana moderna e contemporanea, per la quale non nutro – tranne alcune rarissime eccezioni – un interesse particolare, e che trovo in generale priva di stimoli. E’ un mio limite naturalmente, non un giudizio. Solo ho altri orizzonti.E’ anche chiaro che la mia è una poesia molto anomala nel panorama italiano di oggi. Ma la cosa non mi crea alcun senso di isolamento. Mi rende solo diversa.
Ecco la bellissima intervista radiofonica che mi è stata fatta da Livio Partiti per la sua rubrica radiofonica Il posto delle parole
Da essa si potrà capire qualcosa di più di cosa significa per me la poesia e quale posto abbia nella mia vita.
Francesca Diano
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