For Vincent and for Antonin
Ho ritrovato questa poesia dopo alcuni anni. La scrissi, in originale inglese, sul Lago d’Orta nel 2018. La scrissi per Vincent, il “suicidato della società”, come Antonin Artaud lo definì in quello che è il più abbagliante e tagliente saggio sull’anima e sulla pittura di Van Gogh. Ne aggiungo anche un’autotraduzione in italiano.
Sento la necessità di osservare che la prima impressione che si riceve nel vedere direttamente dal vivo le sue opere, è di attonita meraviglia: non hanno nulla a che spartire con i milioni di riproduzioni che ne vengono fatte, nemmeno se di altissima qualità. Le immagini di Van Gogh sono tridimensionali, vivono, respirano, escono dalla superficie bidimensionale della tela, e questo avviene non solo perché la sua è una pittura materica – non sarebbe il solo – ma soprattutto perché l’impasto dei colori ha come componente principale la sua carne e il suo sangue. Palpita e pulsa sotto il tuo sguardo. E in quell’impasto di materia vivente e pigmenti è impresso il DNA spirituale di quest’anima di fiamma. Quando andai al Museo Van Gogh ad Amsterdam, ne feci il percorso tre volte di seguito, proprio perché volevo imprimermi dentro il miracolo di quella pittura e lasciarle qualcosa di me. Credo di esservi rimasta sei ore circa e non fu abbastanza. Mai avrei voluto staccarmene.
Dreaming of suns your fate denied you
You would’t bear their light
The violence of just a single ray
Reaching inside shattering your soul
With the cutting knife of clearness.
Your sunflowers a substitute
For the golden light of the Midi
You had yearned for your entire life.
And when you finally reached your golden Eden
Your sunflowers exploded
In a thousand arrows
Piercing the thousand blues
Of the skies you were furiously painting.
The light too blinding
Multiplying itself within you
In a caleidoscope of biting pain
Over the roaring desert of the world.
The last sunflower blooming on your gun
Stilling the spiralling stars
Of the Southern sky.
*************************
Sognando soli che ti negò il tuo fato
Non ne avresti tollerato la luce
La violenza anche di un solo raggio
Che penetrasse a sconquassarti l’anima
Con l’affilata lama del nitore.
I tuoi girasoli un surrogato
Della luce dorata del Midi
Cui da sempre anelavi.
E quando infine raggiungesti
Il tuo Eden dorato i girasoli
Esplosero in mille punte di freccia
A perforare i mille azzurri
Che dipingevi preda del furore.
La luce troppo accecante
Ti si moltiplicava dentro e t’azzannava
In un caleidoscopio di dolore
Nel deserto ruggente del mondo.
L’ultimo girasole fiorì sul tuo revolver
Sì che le vorticanti stelle
Del tuo cielo stettero immobili.
(C) 2023 by Francesca Diano RIPRODUZIONE RISERVATA
Ilia Pedrina
Nov 16, 2023 @ 19:31:43
La stesura in lingua inglese, di getto, coglie l’immaginario e lo piega alla forza della tua ispirazione coagulata alla luce implacabile d’un sole senz’ombre che mina da dentro ogni difesa. Sai stenderti, sincera, alla sofferenza del ‘tuo’ Vincent quasi in preghiera, assoggettando dentro ogni distinzione che da lui ti separi. La tua vita, il tuo sangue: questo è il tempo infinito del tuo modo di ascoltarlo, di viverlo, di renderlo a noi rinato in una consunzione interrotta dal tuo luminoso dolore. Grazie!
Ilia
"Mi piace""Mi piace"