Stampa e suicidio: l’irresponsabilità trionfa

Copia di una rara prima edizione del 1782 della prima traduzione italiana de I dolori del giovane Werther.

Alcuni anni fa, l’AFIPS (Associazione Famiglie Italiane per la Prevenzione del Suicidio “Carlo Trumper”), fondata nel 1993, organizzò in quello stesso anno il primo convegno italiano pubblico sul dolorosissimo  argomento del suicidio giovanile, con il sostegno di alcuni psichiatri e psicoterapeuti.

Scopo dell’Associazione, come si evince dall’acronimo, era quello di creare un tessuto di sostegno e autoaiuto  per i familiari di adolescenti e giovani persone che avevano compiuto questo gesto estremo e che dovevano affrontare una difficilissima elaborazione del lutto. Allo stesso tempo però, l’intento era anche quello di sensibilizzare famiglie, peer groups e istituzioni sui possibili segnali di allarme e la possibile prevenzione. Che io sappia, all’epoca non c’era ancora nulla del genere in Italia – all’epoca parlare di suicidio giovanile a livello pubblico era ancora una cosa molto difficile – e l’iniziativa fu accolta molto favorevolmente, anche a livello mediatico nazionale. L’Associazione tenne incontri nelle scuole, con insegnanti e famiglie, e seguì molti genitori sopravvissuti. Tuttavia lo stigma sociale che questo tipo di lutto recava con sé non favorì l’adesione di molte famiglie, essendo la vergogna, per quanto non giustificata, un forte freno.

Fortunatamente oggi ( aggiorno l’articolo nel 2021) in Italia si trovano molte associazioni che offrono un sostegno di questo tipo e dell’argomento si parla molto di più.

L’Associazione organizzò anche una tavola rotonda con direttori di testate giornalistiche e organi di stampa per proporre un “decalogo” da seguire nel dare notizie di persone decedute a causa di un suicidio, poiché l’incapacità o la poca responsabilità e consapevolezza con cui talvolta si affronta mediaticamente l’argomento possono essere molto pericolose.

Alcuni dei punti trattati erano:

Non mettere mai la notizia in prima pagina

Non dare troppo spazio alla notizia

Non mettere nome e cognome ma solo le iniziali

Non fornire particolari né sulle modalità della messa in atto del gesto né sulla vita della persona

Non avanzare ipotesi, o peggio ancora stilare giudizi e conclusioni sulle cause.

Perché tutto questo? Perché ben si conosce in psichiatria l’effetto imitativo, detto anche effetto Werther, della irresponsabile romanticizzazione o della suggestione imitativa  di un atto suicidario. Dopo la pubblicazione de “I dolori del giovane Werther” difatti, tutta Europa fu percorsa da un’ondata di suicidi ispirati dal personaggio di Goethe. Goethe stesso fece numerosi appelli perchè questo cessasse.

Non è di molti anni fa l’ondata di suicidi (11 in pochi mesi) tutti messi in atto con lo scappamento dell’auto, grazie all’accurata descrizione di questa modalità da parte dei mass media. Un modo che, se non fosse stato descritto tanto bene, non sarebbe venuto certo in mente.

Il ruolo della stampa in questi casi è quello di istigazione al suicidio, che è penalmente perseguibile.

I direttori e i giornalsisti illuminati che avevano partecipato a quell’incontro si impegnarono a rispettare queste semplici regole. E lo fecero. Purtroppo i direttori di quei giornali sono cambiati e quegli stessi quotidiani sguinzagliano oggi i loro scribacchini come belve a caccia. Come vengono a sapere di un suicidio ci si gettano sopra famelici, assetati di sangue. Giornalisti (?)  ignoranti e presuntuosi, veri squali, ci fanno “il pezzo” non risparmaindo niente e nessuno.

“Si è suicidato/a per amore! Si è suicidato/a per una bocciatura! Si è suicidato/a per problemi economici, la perdita del lavoro, un brutto voto ecc ecc   E’ ovvio che questa gente non sa nulla sull’argomento, non ha mai avuto a che fare con un suicidio, non ha anima. Ma che ne sanno del perché? Anzi, DEI perché, dato che non è mai unica la causa.

Oggi, su un quotidiano regionale a discreta tiratura ecco l’ennesima notizia del suicidio di un giovane uomo, sbattuta in prima pagina, con tanto di foto, foto della casa, nome e cognome, modalità, interviste ai vicini, e giudizio finale: si è suicidato per amore! Un lettore di anguste capacità mentali ha commentato: ma che bello, è un gesto romantico…..

Ora basta!!! Capisco la libertà di informazione, capisco il diritto di cronaca, ma non sarebbe ora di imparare?

Togliersi la vita è un gesto talmente contrario alla natura umana, alla pulsione alla vita e alla sopravvivenza che è parte essenziale dell’uomo, e ancora di più in età giovanile, da implicare la presenza di una forza di negazione ancora più potente che la sovrasta.

Un suicidio NON E’ MAI un gesto lucido, mai una scelta libera.

Questo sia chiaro.

La cosa terribile è che, mentre chi si sente devastato dal dolore pensa a farlo cessare solo con un gesto di questo tipo e intorno si trova sempre e solo il vuoto e il silenzio di chi dovrebbe e potrebbe aiutare, come spesso accade anche ai familiari, DOPO il chiasso è insopportabile. Tutti compiangono, tutti commentano, tutti danno giudizi, tutti concionano.

Ascoltiamo e parliamo PRIMA. Tacciamo, sosteniamo e rispettiamo POI

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